RICORRENZE. NATI IL 22 OTTOBRE

Georges Brassens, Anna Maria Cancellieri, Robert Capa, Catherine Deneuve, Boris Giuliano, Jeff Goldblum Valeria Golino, Gilberto Govi, Franz Liszt, Luca Marinelli, Paola Severino.
MORTI: Gilberto Benetton, Carlo Bernari, Paul Cezanne, Stefano Cucchi, Giorgio De Stefani, Stefano Satta Flores.


“L’ARMINUTA”, LA SORELLA GENIALE. SOFIA FIORE VOLTO PERFETTO
ALLA FESTA E DAL 21 IN SALA IL FILM DAL ROMANZO ABRUZZESE

di Michele Anselmi per Cinemonitor

Un passaggio oggi alla Festa di Roma e da giovedì, 21 ottobre, nelle sale con Lucky Red. Vai a sapere se “L’Arminuta” di Giuseppe Bonito troverà una sua quota di pubblico, non è un bel momento per il cinema italiano; ma certo molto s’è parlato del romanzo omonimo da cui è tratto. Pubblicato da Einaudi, ha vinto il Campiello nel 2017, facendo della teramana Donatella Di Pietrantonio una scrittrice di successo, molto apprezzata anche dalla critica.
Si respira qualcosa di “L’amica geniale” in questa cupa storia ambientata nell’Abruzzo del 1975, tra la solare Pescara e i lividi entroterra rurali. “Arminuta”, in dialetto, sta per “ritornata”, e solo con questo nomignolo viene indicata la tredicenne – elegante, slanciata, dai capelli rossi e dai modi educati, di una bellezza quasi “preraffaellita” – che all’inizio del film vediamo recapitare, come fosse un pacco, presso una casa colonica. La dimora è sgarrupata, le stanze sono spoglie, solo la piccola Adriana, un po’ selvatica ma incuriosita, sembra aver voglia di parlare con lei, con la “straniera”, cresciuta in città, in un agio borghese, tra amiche, buone scuole e bagni al mare. Scopriremo, strada facendo, che i suoi genitori adottivi hanno deciso di riconsegnarla al padre e alla madre naturali: non capiamo bene i motivi, ma certo c’è qualcosa di strano sotto. Accolta come un’aliena, per modi, eloquio e abiti, “l’arminuta” è trattata duramente dalla madre che si liberò di lei tanti anni prima e anche il manesco padre che lavora in una cava non pare troppo contento. Solo il fratello maggiore le dedica attenzioni, sin troppe, forse vedendo in lei una donnina desiderabile, di una venustà distante e altera, così diversa dalle altre, e in fondo mai vissuta come sorella.
Il film, coprodotto da Maurizio Tedesco, racconta un anno di vita di questa tredicenne, fiera e intelligente, brillante a scuola, capace di non farsi schiantare dagli eventi, benché corrosa, sottopelle, da una domanda da far tremare i polsi: “Perché io sono qui?”.
Nel corso dei quasi 110 minuti accadono parecchi accadimenti, anche torvi e tragici, e non sarebbe giusto anticiparli, perché il film, dietro l’osservazione antropologica, mette a fuoco una condizione umana destinata a chiarirsi in sottofinale, con un palpito di speranza, tra ricomposizione familiare e conoscenza di sé. Giuseppe Bonito si distacca dallo stile postmoderno di “Figli”, il suo precedente film tratto da un progetto dello scomparso Mattia Torre, per raccontare con toni asprigni, tra qualche sospensione di troppo che non agevola la visione, il lucido smarrimento della ragazza. “Io non sono un pacco postale. Dovete smetterla di spostarmi di qua e di là” protesta “la ritornata”, mentre attorno a lei tutto sembra crollare: sia la durezza contadina sia l’ipocrisia borghese. Lei sta in mezzo e prima o poi dovrà capire chi scegliere.
È la debuttante Sofia Fiore la cosa migliore del film: il suo personaggio attraversa la storia con incedere sicuro e spirito moderno, mostrandosi artefice del proprio destino pure in quel mondo maschile rude o meschino. Fa simpatia anche la piccola Carlotta De Leonardis che fa Adriana, la sorellina scaltra e affettuosa. Meno convincente, diciamo un po’ stereotipato, mi pare il versante degli adulti, benché siano coinvolti attori bravi: Vanessa Scalera, archiviato il look di Imma Tataranni, è la dimessa madre naturale, Fabrizio Ferracane il padre taciturno che dispensa cinghiate, Elena Lietti la matrigna borghese sopraffatta dai condizionamenti sociali.
Visto l’argomento, avrebbe giovato un uso più parco e severo della musica, ma da quell’orecchio i registi italiani, giovani e meno giovani, proprio non ci sentono. La mia è una partita persa.


OGGI VI DICO… IL FILM

“Un film è la vita a cui sono stati tagliate le parti noiose.” (Alfred Hitchcock)

“Il segreto dei film è che sono un’illusione.” (George Lucas)

“Preferisco leggere o vedere un film piuttosto che vivere… nella vita non c’è una trama.”
(Groucho Marx)

“Fare cinema non è fotografare la realtà, ma fotografare la fotografia della realtà.” (Stanley Kubrik)

“Il pubblico vuole vedere sempre gli stessi film: bisogna deluderlo, sennò non si farebbe nulla di interessante nell’arte.”
(Woody Allen)


IL NIDO D’AMORE DI MONICA VITTI E ANTONIONI

Esiste un luogo in Sardegna, tra il verde della macchia mediterranea, a ridosso di una scogliera dalle molteplici sfumature, che racconta una delle storie più affascinanti del cinema italiano. È raggiungibile da Olbia, in poco più di un’ora, passando per le strade che si snodano lungo i faraglioni tra cespugli di cisto, agavi, ulivi e pini violentemente piegati dal vento: è la Costa Paradiso. Per molta parte dell’anno è una zona selvaggia e incontaminata, la notte qualche cinghiale indaffarato attraversa le strette strade sterrate e sparisce nella macchia. In questo ruvido tratto di costa esposto al mare aperto sorge un edificio, dal trascorso unico e dal valore inestimabile, ingiustamente lasciato all’azione corrosiva della salsedine, che resiste al passare degli anni e ancora oggi testimonia la travagliata storia d’amore tra Michelangelo Antonioni e Monica Vitti, oltre ad essere uno straordinario esempio di un’architettura innovativa all’avanguardia.


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