OGGI VI DICO CHE… SIBILLA ALERAMO

“Il romanzo di Sibilla Aleramo, “Il Passaggio”, ottenne in Italia uno scarso successo di pubblico e di critica, passò tra l’indifferenza generale. Tradotto in francese invece “Le Passage” fu ottimamente accolto a Parigi, tanto da meritare l’ambitissimo onore di vedersi consacrato un feuilleton da Paul Souday nel “Temps”. Fu allora che Emilio Cecchi uscì in questa massima immortale: Nemo Sybilla in patria.” (Da Almanacco Letterario 1926, editore Mondadori). 

ATTUALIZZANDO… ABBIATE FIDUCIA IN VOI STESSI!

Chiedo scusa per la scarsa incisività, suppongo, di questa citazione. Ne sono rimasto colpito perché evoca un dramma esistenziale, psicologico, di sempre: l’insicurezza. Non passa giorno in cui non riceva uno sfogo da parte di personaggi anche famosi (per lo più nel mondo dello spettacolo), ma soprattutto giovani alle prime esperienze, titubanti, oscillanti tra interessanti progetti e depressioni di varia caratura – nessuna asprezza in queste parole, anch’io ne soffro – con un tema comune: l’insicurezza. Da “Nemo propheta in patria” (a cui Emilio Cecchi si ispirò per la sua battuta) in poi, il problema di riuscire ad affermarsi nel proprio territorio è quasi un luogo comune; e comunque l’insicurezza è una delle tante trappole create per insinuare tormenti e rovelli nell’animo umano. Suppongo che molti miei lettori non abbiano mai sentito nominare né la scrittrice Sibilla Aleramo né l’insigne critico Emilio Cecchi. Non importa. E’ il problema di fondo,che interessa a tutti. E allora dico ai miei amici dello spettacolo e ai giovani scrittori incerti e insicuri, facendo riferimento ai primi nomi che mi vengono in mante: Marylin Monroe faticò molto, prima di affermarsi. Moravia pubblicò a sue spese il primo libro. E “Il Gattopardo” di Filippo Tomasi di Lampedusa fu rifiutato, prima di sfondare. Un insuccesso iniziale non equivale quasi mai a una sconfitta irrimediabile.

IL CASO NUNZIA DE GIROLAMO
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Chiarisco subito: per me Nunzia De Girolamo dovrebbe dimettersi, lei come tanti altri protagonisti di casi analoghi; punto. La questione centrale però è un’altra, e non riguarda solo la sfacciataggine emersa dalle intercettazioni, il garantismo, una legge morale ormai inapplicabile: se per decenza si dimettessero o fossero buttati fuori i rappresentati delle istituzioni colti con le mani nel sacco o in sospetto pesante di flagranti reati o di comportamenti inopportuni, nessuna autorità di governo resterebbe in piedi. Né si può accettare il cinismo dello slogan assolutorio “così fan tutti”. La questione è assai più grave, e perciò passo al punto successivo. 

L’ITALIA IN COMA IRREVERSIBILE?

Il punto è che il nostro Paese è ormai entrato in una condizione più che decadente, direi di crisi irreversibile. Una volta, crisi gigantesche come questa, si risolvevano – per far pulizia – in tre modi: con le rivoluzioni o con le guerre, innanzitutto. Eventi non auspicabili e comunque del tutto improbabili. Di guerre non si parla (per fortuna) grazie al Sistema Europa, ai patti internazionali, ecc. Di rivoluzione neanche, perchè le svolte rivoluzionarie avvengono solo quando il popolo arriva alla fame e, in Italia, non siamo ancora a questo punto, è vero che i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri, ma stiamo ancora raschiando il fondo del barile. Ci sono segnali chiari e pericolosi come quelli dei Forconi, colpevolmente la Casta non ne tiene conto e se ne infischia, ma ancora la fame è lontana. La terza soluzione possibile qualche volta nella storia è arrivata da devastanti calamità naturali: la peste piuttosto che un sisma, ecc, qualcosa che rada al suolo l’esistente e costringa tutti a recuperare un minimo sentimento di solidarietà nazionale, a rimboccarsi le maniche e a ricostruire. Anche questa ipotesi – non prevedibile – non può augurarsela nessuno. La previsione amara e realistica è che l’Italia resti alla deriva ancora per lungo tempo, sprofondando di peggio in peggio. Già adesso, certi aspetti delle nostre città mi ricordano la tristezza e la desolazione dei Paesi dell’Est prima della caduta del Muro e del comunismo. Ma la discesa è ancora lunga. E allora? Se vogliamo sognare – non resta altro – la svolta potrebbe cominciare con una presa di coscienza da parte di qualche nostro, non illustre, governante. Ecco perchè, a mio parere, la De Girolamo farebbe bene a dimettersi, come tanti altri coinvolti in cronache poco edificanti, prima di lei. Per dare un minimo, ma ancora e sempre più indispensabile, segno di dignità, di volontà di cambiamento. Equivalente a un invito a una riflessione generale, autocritica. La questione centrale, infatti, è che la classe politica, la Casta, “lor signori” secondo la definizione di Fortebraccio , non sembrano minimamente sfiorati dal disprezzo e dall’odio che monta nel Paese reale. Non c’è un segno di ravvedimento, non c’è iniziativa concreta che dica alla gente: stiamo provando a cambiare; no, al contrario alla gente comune si continuano a chiedere pazienza e sacrifici. 

OBAMA E LE LESBICHE: PESCANTE HA RAGIONE
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Mario Pescante è uno che pensa con la sua testa, non cede a mode, correnti, retoriche… Nel caso della decisione di Obama di mandare alcune lesbiche alle Olimpiadi di Mosca come segno di contestazione verso gli atteggiamenti censori e ostili di Putin di fronte all’omosessualità, mi metto dalla parte di Pescante. E mi spiego. Primo, a scanso di equivoci, non ho niente, assolutamente niente, che mi spinga a detestare omosessuali e lesbiche. Secondo, penso che lo sport possa essere ancora un territorio estraneo, se non vergine abbastanza pulito, rispetto agli affari sporchi della politica, le polemiche strumentali, in una parola il coinvolgimento della politica nello sport dove dovrebbe vigere prioritariamente un solo valore, vinca il migliore, in una competizione leale e di parità. Terzo, se le atlete lesbiche sono meritevoli di andare alle Olimpiadi per i loro meriti sportivi, ci vadano – ovviamente – con il prestigio che meritano. Ma in questo caso non dovrebbero essere definite lesbiche. Sono campionesse, punto. Se invece saranno designate per le Olimpiadi in quanto lesbiche, e per questa ragione preferite ad altre, allora la decisione sarebbe ingiusta e inopportuna: sarebbe una provocazione politica, che poco avrebbe a che fare con lo sport. Ricordo che di un grande episodio di antirazzismo, metaforico, commovente, fu protagonista il leggendario Jesse Owens, nero, alle Olimpiadi di Berlino nel 1936. Sotto gli occhi di Hitler, allibito, vinse in modo trionfale varie medaglie d’oro. Ma vinse in quanto era un campionissimo, non per il colore della pelle, e a Berlino non fu inviato per contestare il razzista Hitler (che pur meritava ostilità, lotta e avversione assai più di quella, oggi, riservata a Putin). In conclusione, caro Obama e cari tutti: o alle Olimpiadi non ci vai, in segno di protesta, se la partecipazione ti sembra una grave forma di complicità; oppure ci vai e non apri un contenzioso e un dibattito, con un caso politico, in cui tutti avrebbero qualcosa certamente da dire, in modo giusto o strumentale, secondo copione.

PAPA FRANCESCO, C’E’ POSTA PER TE
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Qualche settimana fa vi raccontai un curioso episodio: senza l’ambizione di emulare il non emulabile Eugenio Scalfari, avevo scritto al Papa, indirizzando la mia lettera alla Chiesa di Santa Marta, che il Pontefice frequenta ogni giorno. Con grande delusione, ricevetti indietro la mia lettera con questa incredibile nota/standard da parte delle Poste: “destinatario sconosciuto”. Chiesi e ottenni spiegazioni (devo dire un po’ imbarazzate) dalle Poste. Interpellai anche il leader delle Poste, l’inossidabile Sarmi, sempre presente – è un grande, a modo suo – nelle varie Repubbliche che si susseguono (immaginarie?) senza sosta, la prima, la seconda, tra poco la terza e chissà quante ancora. Sarmi, probabilmente, e certo non è un rimprovero, era immerso a capofitto nell’assistenza all’Alitalia e nel desiderio di entrare in Borsa. Che importanza poteva avere quel piccolo infortunio, che pur investiva l’ignaro Papa? Come sapete, ho un caratteraccio: bonario, ma testardo. A quel punto ho scritto una decina di lettere al Papa, di semplici auguri, indirizzando: “Al Papa, Roma”, e a tanti altri indirizzi vaghi – visto che quello di Santa Marta non era stato sufficiente, al Vaticano, a miei amici inconsapevoli, ecc. Nessuna lettera risulta restituita al mittente. Bene. Non ho la sicurezza che siano arrivate a destinazione: Francesco non mi ha risposto. Ma spero, sono convinto di sì. Il Papa non può essere un “destinatario sconosciuto”. O no?

PAGELLE / PASQUINELLI PASSA A MAGNOLIA
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Leonardo Pasquinelli lascia Endemol Italia e passa a Magnolia, come amministratore delegato. Lo conosco, ma non bene: forse ho collaborato con lui solo per un programma, in televisione. Però, come cerco di fare sempre, mi faccio guidare dal criterio base: il merito, la competenza. Di Pasquinelli so abbastanza per dire che di televisione, e di management, “ne capisce”, come si dice; e parecchio. Quindi, entra nelle nostre pagelle con un voto positivo, 6 e 1/2, e con un giudizio indiscutibile: esperienza rassicurante.

 

16-01-2014

* Chi voglia interagire con me è pregato di scrivermi indirizzando a cesare@lamescolanza.com grazie