OGGI VI DICO CHE….LA EINAUDI COMPIE 80 ANNI

“Quel logo, uno struzzo fieramente impettito con un chiodo stretto nel becco, ha attraversato quasi l’intera storia della casa editrice. Un marchio di successo è come un simulacro la cui immagine riassume le glorie di una vita. Per Einaudi quella vita ha toccato oggi il traguardo degli 80 anni. Sul cartiglio dello struzzo è incisa una frase: Spiritus durissima coquit, lo spirito digerisce le cose più dure. Come dire? Possiamo averne passate di tutti i colori, ma alla fine le nostre scelte e il nostro lavoro hanno avuto la meglio sulle avversità. E di avversità la casa editrice ne ha affrontate molte: gli anni ostili del fascismo, il difficile dopoguerra, la grande crisi finanziaria degli anni ’80 – quando i debiti diventarono il doppio del fatturato – il passaggio traumatico agli inizi del ’90 alla famiglia Berlusconi…” (Antonio Gnoli, La Repubblica, 15 novembre 2013).

ATTUALIZZANDO… I LIBRI HANNO UN FUTURO? AUGURI

Sono un piccolo bibliofilo, leggere mi dà emozione, se avessi avuto giudizio non avrei fatto altro che leggere e studiare nella mia vita, e scrivere anche – ogni tanto però, con misura. Gli eventi legati ai libri mi commuovono: l’anniversario di ottant’anni della casa editrice Einaudi mi coinvolge più di un compleanno di un parente, di un fratello maggiore. Una casa editrice è un amico, che ti entra in casa con i suoi libri, e i libri ti restano in cuore e nella memoria. Sfogliare un libro nuovo è una possibile amicizia nascente, accarezzare e sfogliare un vecchio libro amato è come rinnovare la magia, il profumo proustiano, il ricordo di una storia sentimentale vissuta e mai perduta. Auguri, Einaudi! Spero che i tuoi libri eleganti (di simile, in Italia, per eleganza e qualità culturale, ci sono solo le collane della più giovane Adelphi) possano essere stampati e distribuiti nei prossimi ottant’anni, almeno fino alla fine di questo poco promettente secolo. Ma sono pessimista. Oggi i libri – le case editrici – sono in crisi; la carta stampata non attira più i giovani: la mia adolescenza è legata ai classici della Utet, che mio padre acquistava a rate; i miei figli, quando si avventurano a leggere, preferiscono farlo su Internet. Di questo sono tanto desolato, quanto consapevole che il vento non si ferma con le mani, il mare non si asciuga con i secchielli. Il mio autore preferito – tra i tanti, editi da Einaudi – è Cesare Pavese. Negli anni del liceo, a Genova, i miei amici della classe B e io passavamo qualche nottata a discuterne (l’altro mito, nella stessa stagione, erano i film della nouvelle vague, in primis “Hiroshima mon amour” che oggi definirei un mattone indigeribile) forse anche avvinti dalla sua storia personale, dal carattere orgoglioso, dal fascino delle Langhe, dai suoi amori infelici, dal suicidio – una scelta razionale e disperata.

A.A.A. VENDO LA MIA BIBLIOTECA

Con questa malinconia addosso, da tempo ho deciso di vendere, in blocco, la mia biblioteca, se avrò un’offerta interessante. Se non ci saranno offerte, la regalerò a un Comune o a un carcere o a una Università. Voglio impedire che i miei libri – che oggi mi turbano come solo riuscivano, prima della vecchiaia, la pelle finissima, la bocca, gli occhi, il mistero sensuale di alcune donne – facciano una brutta fine: in una cantina, venduti a peso da figli e nipoti a qualche mercatino, ma – soprattutto – ignorati, mai letti, disprezzati, dispersi. Per la verità ai mercatini sarei anche affezionato, lì ho trovato, a volte faticosamente, a volte per piccoli colpi di fortuna, qualche chicca straordinaria, incompresa dai venditori e dai frequentatori dei banchetti. La mia biblioteca non ha libri antichi (mai ho potuto permettermeli), ma libri vecchi, prime edizioni, curiosità introvabili. L’addio – se ci sarà – mi darà gioia e dolore: li perderò, i miei libri, ma li salverò, affidandoli a mani sicure e menti coscienti.

ANCORA LIBRI. LA VALORIZZAZIONE DI GIORGIO SCERBANENCO

Adoro questo giornalista e scrittore, morto senza aver raggiunto in vita la gloria e i riconoscimenti che meritava. Ha diretto giornali femminili, e questa è stata la sua colpa, di fronte ai critici snob – quelli che capiscono le cose solo il giorno dopo. Scerbanenco ha scritto libri bellissimi, tra i tanti mi piacciono soprattutto i gialli (specialità, in particolare all’epoca di Giorgio), assai poco frequentata dagli italiani. Oggi il Corriere annuncia che tutti i noir del Maestro saranno proposti, a partire da domani, come supplemento del quotidiano. Evviva. Ci sono tanti scrittori che, dopo la loro morte, vengono ridimensionati, rispetto alla sopravvalutazione di cui avevano goduto in vita: penso che il
caso più clamoroso sia quello di Alberto Moravia. Per fortuna, successe anche che grandi scrittori e innovatori – come Scerbanenco – siano lentamente, ma giustamente riscoperti e rivalutati.

APPELLO A BAZOLI, PER IL CORRIERE: PUO’ DIRE E FARE QUALCOSA DI PIU’

Caro Giovanni Bazoli, la ringrazio per questa sua (imprevista) dichiarazione: Lei si è detto “dispiaciuto” della decisione del consiglio di Rcs di vendere palazzo Beltrami, in via Solferino, sede del Corriere della Sera dal 1909. Si intuisce il suo dissenso: “Ho espresso delle perplessità intorno non alla vendita del complesso ma di via Solferino: il progetto iniziale prevedeva la cessione di via San Marco e non della sede storica.”
Mi dispiace osservare che questa dichiarazione sia stata “nascosta”, quasi invisibile, questa mattina, dal Corrierone a pagina 35: mi auguro, anche se è difficile pensarlo, che sia successo senza la volontà o la consapevolezza del direttore, Ferruccio de Bortoli: una sua creatura, caro, carissimo Bazoli. Posso dirle una cosa, Presidente? Lei è alla vigilia di compiere 81 anni, nella Sua vita ha fatto tante cose buone, raggiunto traguardi importanti, ha difeso valori preziosi. Perché vuole lasciar passare questo schiaffo alla storia del Corriere, alla cultura italiana, perché non impedisce questa (s)vendita? Lei può farlo. Può, comunque, dire e fare qualcosa di più.

I MEGA STIPENDI DEI MANAGER PUBBLICI ITALIANI. MODESTA PROPOSTA…

Ha indignato tanti la notizia che i manager di aziende pubbliche italiane guadagnino il doppio, a volte il triplo dei loro colleghi stranieri. Mi permetto una riflessione controcorrente… Basterebbe che i compensi fossero integrati da premi corrispondenti ai risultati ottenuti. Succede, invece, il contrario! Alcuni manager sfasciano le aziende a loro affidate – e si tratta di soldi pubblici – e poi vengono esonerati con liquidazioni di decine di milioni. Il merito è sempre meno riconosciuto, il demerito sempre più spesso premiato. Ricordo a tutti che un paio di anni fa ho fondato un movimento di opinione, Socrate 2000, per il ritorno al merito. Più di cinquemila italiani hanno aderito. Qualcuno vuole sostenerci? Presto vorremmo cominciare a far sentire la nostra voce.

15-11-13

cesare@lamescolanza.com