RICORRENZE. NATI IL 16 FEBBRAIO

Claudio Amendola, Federico Bernardeschi, Kim Jong II, John Mc Enroe, Valentino Rossi.
MORTI: Giosue Carducci, Cesare Dell’Acqua, Felix Faure, Bruno Ganz, Enio Girolamo, Eugenio Carmi, Antonio Tirabassi, Ezio Vanoni.

CENTENARIO PCI, INTERVISTA A FABRIZIO RONDOLINO
DI GOFFREDO PISTELLI (dá Italia oggi)

Fabrizio Rondolino (Torino, 1961) aveva da alcuni anni smesso di occuparsi di politica: durante l’ascesa di Matteo Renzi, di cui era stato tra i primi a intuire le capacità, era diventato un commentatore politico molto ambito nei talk show. Polemico ma documentato, «Rondolo», come lo chiamavano all’Unitá.
D. L’egemonia teorizzata da Antonio Gramsci, nei primi anni di quel secolo…
R. Esattamente, d’altra parte, non si poteva prendere più il Palazzo di Inverno e quindi si dovevano conquistare pezzi di società, con l’aggregazione sociale, con l’associazionismo, col sindacalismo. Non era il comunismo, a cui, negli anni 70, credeva solo qualche gruppuscolo o qualche vecchio compagno. Eravamo il Partito della nazione
D. Lei scrive che eravate convinti di realizzare il grande cambiamento: scalzare la Democrazia cristiana dal governo del Paese.

BERLINGUER, MORO E ANDREOTTI

R. Paradossalmente, fu lo stesso Pci nazionale a tradire la grande speranza della base che si infranse contro il muro di gomma del governo sostenuto dall’astensione comunista, quello di Giulio Andreotti.
D. Già, ma Aldo Moro era stato appena rapito.
R. Sì, però quel governo si rivelò poi aldi sotto delle intenzioni di quello che Moro ed Enrico Berlinguer si immaginavano. E in ogni caso, quel disegno fu interrotto dal «Piano strategico» delle Brigate rosse che, appunto, rapirono e uccisero Moro. Non sappiamo come sarebbe andata a finire, lui vivente.§
D. Fra le varie note autobiografiche che lei scrive, ce n’è una gustosa: su suo padre, un ex azionista poi psiuppino, che cade nella burla de Il Male con la falsa Unità che titolava: «Basta con la Dc»…
R. Esatto. Papà lesse con attenzione l’editoriale, condividendolo riga dopo riga, salvo poi capire, arrivato alla firma – Groucho Marx, uno dei fratelli comici – che non era proprio il giornale fondato da Gramsci, anche se lo sembrava.
D. Il Pci fu anche una comunità di affetti, capace di accompagnare i giovani che vi si iscrivevano: lei, borghese, ci incontrò gli ambienti operai dell’emigrazione meridionale aidea, totalmente sbagliata, c’era una pratica politica occidentale e riformista, perché il Pci in Italia è il grande partito socialdemocratico che ha avuto la Germania con la Spd, la Gran Bretagna col Labour, la Francia col Psf. Il Pci ha fatto, grossomodo, quel mestiere lì, ma il suo gruppo dirigente era effettivamente «sovietico». Tant’è che c’è la controprova: il Pci nasce nel 1921, perché la Rivoluzione si va affermando in Russia e muore nel 1989, con la caduta del Muro di Berlino e coi russi che smontano tutto. Atto di nascita e atto di morte, arrivano da Mosca, segnati da fattori esterni. Eppure…
D. Eppure…
R. Eppure nessun partito comunista ha scritto la Costituzione di un paese occidente, ha preso il 30% dei voti, ha partecipato al governo, seppure in forme laterali, come l’astensione nel ’78. C’era questa doppiezza strutturale
D. D’altra parte lei, presentando nel libro tutti i segretari del Pci, rivaluta fortemente Palmiro Togliatti, proprio per la doppiezza del Migliore.

IL GENIO DI TOGLIATTI

R. Penso che Togliatti sia stato un autentico genio politico, infatti. Riuscì a tenersi in equilibrio fra fascismo, stalinismo e il mondo di Yalta, a non precipitare mai nel settarismo, nel piccolo gruppo identitario, mantenendo sempre la casa aperta, per così dire. Anche se questa casa, nei piani alti, era piena di stalinisti, perché appartenevano, come lui, a quella storia. Ma lo fece con una grande intelligenza e raffinatezza. E poi, sa, Togliatti e gli altri, mutuarono dall’Ordine nuovo gramsciano il concetto che la Rivoluzione non era uguale da tutte le parti e quindi studiavano l’Italia, le condizioni sociali e la sua storia. Questo nucleo di pensiero fece la differenza.
D. Questa comunità, composta a un certo punto di 2 milioni di iscritti, fatta anche di tensione morale, di valori, però a un certo punto si sfalda e, nell’arco di pochi anni, di fatto sparisce. Quando la intervistavo, sette-otto anni fa, lei era impietoso con la ex-Ditta nell’attuale Pd, parlava con asprezza di «ceto politico». Come è potuto accadere?
R. Da un lato è vero. Dall’altro i comunisti ci sono ancora. L’attuale segretario del Pd, Nicola Zingaretti, stava nella Federazione giovanile con me. Abbiamo avuto presidenti della Repubblica, Giorgio Napolitano, e del consiglio, Massimo D’Alema, che venivano da quella storia. Dunque il Pci, anche dopo la sua morte, con la sua classe dirigente, ha continuato, nel bene e anche nel male, ad esserci.
D. Sì certo, ma aldilà dei singoli sembra esser sparito il popolo.
R. L’errore fu che nel 1989, andava fatta davvero l’unità socialista, il Pci doveva prendere atto che la grande parabola, eroica e tragica, dell’Ottobre sovietico, si era conclusa e che l’unica possibilità era la grande famiglia socialista, riformista e socialdemocratica. Questo veniva detto, in Europa, ma in Italia c’era il problema di Bettino Craxi.
D. Che non aveva voglia di veder arrivare il Pci, baldanzoso, a prendersi la leadership.

MA C’ERA CRAXI

R. Lui dichiarò che avrebbe voluto ridimensionare e riassorbire i comunisti italiani ma il Pci ci mise del suo e quella guerra fratricida, prima Berlinguer-Craxi, poi Occhetto-Craxi, ha impedito tutto. Perché Occhetto si inventa l’«oltrismo», ossia andare a cercare soluzioni politiche nuove, così come, anni prima, Berlinguer si era inventato la «questione morale».
D. Diversivi?
R. Trovate linguistiche più che politiche, per aggirare il problema vero, ossia unificare la sinistra su base riformista.
D. Ma lei, poco fa, parlava di un Pci che è già riformista. Negli anni 70 il Pci si gonfiò con l’apporto di scrittori, registi, intellettuali, cantautori, sindacalisti, che tutti insieme crearono e consolidarono un clima complessivo. Non si poteva più prendere il Palazzo di Inverno e quindi si dovevano conquistare pezzi di società, con l’aggregazione sociale, l’associazionismo, il sindacalismo. Non era il comunismo, a cui, negli anni 70, credeva solo qualche gruppuscolo o qualche vecchio compagno. Era il Partito della nazione.

Il partito comunista, prima che approdasse a Palazzo Chigi col primo gabinetto di Massimo D’Alema, era saldamente presente nel dibattito pubblico. Anni fa la svolta: Rondolino, stufo della politica, si era messo a scrivere di animali, sua altra grande passione, che pratica fra cani e gatti nel suo casale di Poggio Mirteto, Alto Lazio. Da qualche giorno però, la politica l’ha richiamato in servizio: da ex comunista, anche lui non ha resistito al richiamo emozionale del centenario del Pci, confezionando un libro piacevolissimo, “Il nostro Pci” (Rizzoli), agile storia del partito, con poco testo e sempre ben scritto, e tantissime immagini: dalle tessere ai manifesti, che permettono un viaggio iconografico da Livorno al congresso di Rimini del 1990, dove il Pci spirò, almeno nominalmente, per colpa o per merito di Achille Occhetto.
Domanda. Rondolino lei, ragazzino, studente liceale torinese, arriva al Pci, nel ’76. Nel mezzo della grande infatuazione degli italiani per la sinistra. Lo erano tutti, allora. Una cosa che è parso di rivedere nel 2013, con la prima avanzata grillina. Non fu una moda, anche allora?
Risposta. Al tempo. L’avanzata ci fu già nel 1975…
D. Alle regionali.
R. Esatto e alle politiche del ’76, ma il Pci veniva, è il caso di dirlo, da lunga marcia. Dal 46 anni, era cresciuto di un punto, un punto e mezzo e poi crescendo ogni anno: passando dal 16%, al 28 nel 1972. Se ci fu un aspetto di moda? Mi piace pensarlo un caso di egemonia: negli anni 70, c’erano scrittori, registi, intellettuali, cantautori.
D. Fu difficile lasciarsi alle spalle il comunismo nel 1989?
R. Per me e per molti il crollo del Muro di Berlino fu un’autentica liberazione. A parte che io avevo studiato in quegli anni a Berlino Ovest (la parte non comunista) e avevo un’idea chiara di cosa fosse il comunismo. Andavo all’Est a comprare i dischi di musica classica, che costavano meno, e mi rendevo conto della evidente disparità di libertà civili, di tenore di vita. Che cadesse il Muro e che finisse il comunismo la considerai una buona notizia appunto
D. Per altri lo fu di meno. Nel Resoconto di Claudio Petruccioli (Nave di Teseo), ripubblicato recentemente, si narra di una riunione pubblica, nelle ore successive alla caduta, in cui il regista Nanni Loy biasimava i tedeschi dell’Est che, nell’Ovest, andavano per pornoshop.

IL CROLLO DEL MURO DI BERLINO

R. Massì, queste vicende stanno nell’ambiguità storica, mai sciolta, di quel partito: il gruppo dirigente del Pci, e ci mettiamo anche i Nanni Loy, nel senso di molti intellettuali e uomini di cultura che di fatto lo guidavano, da una certa età in su, era legato alla Unione sovietica e a questa idea di un mondo diviso in due, in cui il bene – con tutti i limiti e gli errori – stava da una parte, cioè a Mosca; il male, dall’altra, ossia nell’Imperialismo americano. Ma nell’89 bisogna anche dirlo, pubblicamente, non si poteva più farlo continuando a cantare Bandiera rossa. E il Pci non volle farlo mai, iniziando vari contorcimenti. Le scissioni che ne seguirono furono figlie di questa mancato riconoscimento. La dispersione di quel popolo viene anche da lì. E d’altra parte, con l’89 cambiò il mondo, non era solo questione interna.

Il crollo del Muro non piacque ad esempio a Nanni Loy e a molti altri: C’era un’ambiguità storica, mai sciolta, di quel partito: il gruppo dirigente del Pci e i molti intellettuali e uomini di cultura che di fatto lo guidavano, da una certa età in su, erano legati alla Urss e a questa idea di un mondo diviso in due in cui il bene (con tutti i limiti e gli errori) stava da una parte, cioè a Mosca.

OGGI VI DICO… IL COMUNISMO

“Ci vorrebbero dei comunisti non ignoranti, che non guastassero il nome” (Cesare Pavese)

“Qualcuno era comunista perché era talmente ateo che aveva bisogno di un altro dio” (Giorgio Gaber)

“Ogni comunista deve afferrare la verità: il potere politico nasce dalla canna di un fucile” (Mao Tse Tung)

“Per come è fatto il capitalismo, un comunista nasce sempre” (Fausto Bertinotti)

“S’è mai visto che il comunismo vince con la scheda? Il comunismo vince, ma con la rivoluzione.” (Carlo Cassola)





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