OGGI VI DICO CHE…. PASSAMONTI E IL GIOCO D’AZZARDO

“Desideriamo chiarire che il fatturato dei concessionari italiani nel settore del gioco legale on line nel 2012, secondo i dati ufficiali pubblicati dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, è stato di 748 milioni di euro, tassati per un valore di 199 milioni, pari al 26.6%. Nel 2013 si nota una contrazione del mercato del gioco, on line compreso. I dati citati da Raffaele Bonanni nel suo intervento sul Corriere dell’11 novembre (50 miliardi di fatturato e tassazione tra 0,6 e 3%) sono pertanto da ritenersi errati ed infondati.” (Massimo Passamonti, presidente Confindustria Sistema Gioco Italia, lettera al Corriere della Sera, 13 novembre 2013)

ATTUALIZZANDO… PROIBIRE IL GIOCO SAREBBE UNA FOLLIA E VI SPIEGO I PERCHE’.

Tutti sanno quanto mi stia a cuore il gioco d’azzardo. A sostegno delle informazioni, non discutibili, fornite dal dirigente di Confindustria, mi fa piacere dunque insistere sull’unica, sintetica, opinione che dovrebbe appartenere a tutte le persone in buona fede (tra queste, oserei dire, Raffaele Bonanni, probabilmente tratto in inganno o per colpa di qualche sciatteria dei suoi collaboratori, o per un input politico irragionevole – come cercherò di dimostrare per l’ennesima volta). E allora, in sequenza logica: 1. Premetto che è in atto da tempo una campagna anti-gioco esagerata e irragionevole, promossa – a mio parere – non solo da chi, in buona fede, detesta il gioco considerandolo un vizio pericoloso ed eliminabile, ma anche da chi non ha consapevolezza della realtà e, temo, anche da chi, in mala fede, in territori attigui alla criminalità organizzata, si muove per interessi torbidi e non confessabili. 2. Le cifre fornite da Confindustria sono ineccepibili e la dicono lunga. Il mercato del gioco d’azzardo, oggi non solo in Italia, ma in tutti i Paesi occidentali non meno civili del nostro, e in quasi tutto il mondo con eccezione dei Paesi con regimi più o meno autoritari, consente allo Stato entrate importanti (centinaia di milioni) e opportunità per l’occupazione (decine di migliaia di posti di lavoro) – senza parlare dell’indotto. 3. E’ ragionevole sostenere una battaglia verso questo settore della nostra società, rinunciando – con restrizioni assurde o peggio con la proibizione – ad entrate preziose per le casse dello Stato, e provocando nuova disoccupazione? Direi di no. 4. Sarebbero giustificabili questa battaglia per il proibizionismo, in nome di valori morali ed etici? Chiunque risponderebbe di sì, senza avere cognizioni in proposito, e questo spiega quanto sia facile mobilitare un’opinione pubblica di massa, facendo leva sull’ingenuità generale. 5. In realtà, tutti sanno che il proibizionismo (verso l’alcol, in anni lontani, negli Stati Uniti e dovunque nel mondo, verso la prostituzione o la droga) non elimina affatto il problema che si vorrebbe spazzare via, ma ne incrementa e ne favorisce lo sviluppo, lasciandone
alla criminalità la gestione e gli illeciti guadagni. 6. Davvero qualcuno vuole lasciare spazio ad entrate colossali per la criminalità? Non direi, ma dico: assolutamente no. 7. E allora, che fare? La risposta è una sola: ancora una volta, si avverte nel nostro Paese l’assenza dello Stato. Tocca infatti allo Stato regolamentare il gioco in ogni suo settore, trarne utili e benefici, vigilare contro le infiltrazioni criminali, salvaguardare l’onestà dei giochi, favorire l’occupazione, indirizzare una parte degli introiti a vantaggio di iniziative sociali, culturali e turistiche. 8. Altrove – l’America è all’avanguardia nel marketing – si utilizza il gioco per colossali iniziative come quelle di Las Vegas, Atlantic city, le riserve indiane – promuovendo turismo di massa, intrattenimento, spettacolo, posti di lavoro. In altri Paesi (Francia, Germania, Austria, Spagna, Slovenia e tanti altri luoghi del mondo) i casinò proliferano con proposte turistiche interessanti: è gigantesca, al contrario, la cifra di denaro che gli italiani vanno a buttare all’esterno, non trovando riferimenti adeguati nel Bel Paese. E allora? Tocca alla politica pensare agli interessi dello Stato e alla libertà dei cittadini. E’ possibile che questa semplice esigenza venga soddisfatta anche in Italia?
Concludo con una puntualizzazione. Lungi da me (l’ho fatto per provocazione e per esemplificazione) accostare il gioco alla droga e alla prostituzione. Il gioco è un esercizio nobile dell’animo e del cervello. Esiste da sempre, proibirlo è impossibile, certo è possibile proibirlo legalmente, favorendo di fatto le organizzazioni illegali; bisogna dunque solo dargli regole e leggi di buon senso. Ma c’è di più. Insegnerei il gioco nelle scuole perché è educativo: insegna a trovare, conquistare l’equilibrio di fronte alla vita; insegna a saper perdere e a saper vincere; a trovare una misura; a insegnare la prudenza e l’audacia, di fronte alle insidie o alla buona sorte della quotidianità (si gioca, si rischia in ogni minuto della nostra vita, si vince e si perde di continuo). Ma capisco che questo semplice concetto possa apparire astruso e temerario, complicato da organizzare, capisco che sia destinato a provocare obiezioni e indignazioni. Roba da università! E quanto al gioco, in Italia, siamo ancora alla prima elementare.

MI HA SCRITTO IL CARDINAL BAGNASCO. IN RITARDO, MA UNA BELLA LETTERA

Alla fine di luglio, inviai un libro ad Angelo Bagnasco, cardinale in Genova, mia città di adozione (negli anni Ottanta fui buon amico, a Genova, di Giuseppe Siri, che si era proposto di recuperare la mia anima per i sentieri della Chiesa). Oggi, dopo quasi quattro mesi, ho ricevuto una cortese e attenta risposta da Bagnasco. Ne pubblico solo il passaggio che può essere d’interesse comune.

“…Ho letto, poi, i Suoi pensieri che mi ha confidato, in merito alla Chiesa e alla ricerca di Dio: mi creda davvero riconoscente per questa sincerità nel manifestarmi l’inquietudine del Suo cuore. Sant’Agostino ha indicato questa condizione propria dell’uomo con l’espressione di “cor inquietum”: un cuore inquieto, una nostalgia permanente e implacabile di infinito, un desiderio del tutto, mentre l’uomo vive nel particolare, nei frammenti. Questa nostalgia è come una ferita che Dio ha impresso nelle nostre carni proprio per ricordare a ciascuno di noi da dove veniamo e dove andiamo. E’ una santa inquietudine che nessuno stordimento e nessun rumore può soffocare, anche se può certamente attutire…”

Ora, immagino benissimo ciò che i (pochi) maligni, tra i miei lettori, stanno pensando.
Scalfari ha pubblicato su “La Repubblica” un articolo dedicato al Papa, Francesco gli ha risposto subito e lo ha ricevuto. Lanza ha scritto a Bagnasco e Bagnasco lo ha fatto aspettare quattro mesi e neanche gli concede un appuntamento. Che dire? Vabbè: io non mi paragono (per fortuna e mia serenità) a Scalfarone, e sarebbe villano stabilire un confronto tra Francesco e Bagnasco (che pure era papabile e, con minor tenerezza, sarebbe stato anche lui un ottimo Papa). Certo, l’attesa mi dispiace un po’. Ma non solo per vanità. Il problema è l’età. In questi quattro mesi, poteva anche succedere che me ne andassi dal mondo di qui e avrei chiuso gli occhi senza aver risolto i miei tormenti di coscienza irreligiosa. Non confido in Bagnasco, pur apprezzando le sue parole e, ahimè, neanche in Francesco (come leggerete qui sotto). Confido nell’attenzione di un qualche pretino, umile come me, e ci sono due persone – vi racconterò – che mi hanno promesso di assistermi.
PS. Ma se concludo dicendo che in un angolo (che non stimo) del mio povero cuore alberga un po’ di stizza, mi disprezzerete, mi condannerete? Insomma: io cerco, e non la trovo, la fede. Scalfari dice che non ha fede e non ha nessuna intenzione di trovarla, e il Papa gli scrive e il dibattito infuria, giorno per giorno. Francesco! La mia anima vale meno di quella del Fondatore? Mi consola che Lei gli abbia detto che non ha alcuna intenzione di convertirlo… Allora sono veramente umiliato: la mia anima vale meno, rispetto a Scalfarone anche come miscredente o agnostico? Mi consenta, oh Francesco, di citare due grandi umoristi, Troisi e Totò. Le vie del Signore sono finite? E, anche in Vaticano, siamo uomini o caporali?

CARO SARMI, IL PAPA – PER LE POSTE – E’ SCONOSCIUTO?

Vi racconto questa, troppo bella per essere taciuta. Non ho scritto solo a Bagnasco. Incuriosito dalle intense corrispondenze praticate da Francesco, ho scritto anche al pontefice, qualche giorno fa. Con una mal riuscita malizia. Intimorito dalla burocrazia che immagino ben organizzata in Vaticano, ho indirizzato alla chiesa di Santa Marta, che tutti dicono molto cara a Sua Santità. Ebbene, questa mattina la lettera è tornata indietro! Con il timbro delle Poste: IL DESTINATARIO E’ SCONOSCIUTO. Caro Sarmi, questa storia di lettere che vanno e vengono mi intrigano sempre di più: sto meditando un libro! Lei sa, oh Sarmi, che di recente scrissi anche a Lei e Lei gentilmente (ma questo, per galateo, non si dovrebbe fare mai) mi fece rispondere dalla Sua assistente, la diletta Giorgetti. Ora di nuovo mi rivolgo a Lei, mi faccia rispondere da chi crede, dalla Giorgetti o dal parroco di Santa Marta, da un Suo solerte collaboratore o da una guardia pontificia), però mi conceda un approfondimento: chi, chi, chi (in nome di Dio!) può aver detto al Suo postino che il Papa (il Papa!) è sconosciuto alla chiesa di Santa Marta?

13-11-13

cesare@lamescolanza.com