OGGI VI DICO CHE… MA NON SEMPRE E’ COSI’

“Gli ultimi saranno i primi,  ma lo sportello chiude alle 12” (Corrado Guzzanti)

ATTUALIZZANDO…  LA RUSSA “ESPULSO” DALLA BOLDRINI

Laura Boldrini

Tutta la mia solidarietà a Ignazio La Russa,  veemente e passionale uomo politico – che non ha mai paura di sostenere le proprie idee. E’ successo (gli ultimi saranno i primi? e, comunque tutti avranno gli stessi diritti?) che La Russa stava concludendo un suo intervento alla Camera ed è stato bruscamente zittito dalla presidente Boldrini, al limite dei cinque minuti consentiti. I n precedenza, tutti o quasi si erano allargati fino a sei minuti e più, La Russa ha chiesto anche lui un minuto di tolleranza. Niente da fare, La Russa si è ribellato ed è stato invitato con fermezza a lasciare l’aula. La Russa ha poi dato in tivu la sua interpretazione: la Boldrini lo avrebbe tacitato perché aveva capito che cosa stava per dire, e cioè che il sindaco di Milano era stato fischiato da trentamila suoi cittadini. Aggiungo una noterella. Fui tra i primi, e più appassionati, ad accogliere con entusiasmo la designazione della Boldrini alla presidenza della Camera. Ma quasi subito, come ho scritto varie volte, sono rimasto deluso dai suoi comportamenti, dalla rude intransigenza su situazioni secondarie (come l’incidente di ieri con La Russa), alle contraddizioni, dall’esagerata considerazione di sé alla retorica usata in quantità industriale, dalla indulgenza alle apparenze alla scarsa attenzione verso le scelte concrete e i problemi reali. Non è stata, Boldrini, presidente di tutti, a mio opinabile parere, non è stata una garanzia per tutti. Che peccato: un’occasione perduta per la Camera, per la politica italiana, e per lei stessa. Se avesse mostrato imparzialità ed equidistanza verso tutti, serenità ed equità nella indispensabile fermezza, una diversa altezza di pensiero, sono convinto che avrebbe potuto essere candidabile al Quirinale. Anche per l’incontenibile precedenza che viene data, o quanto meno costantemente proposta e suggerita, al privilegio di essere donna.

GIANCARLO DOTTO / SONO UN POLLICINO SENZA UNO STRACCIO DI VENDETTA DA CONSUMARE

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Giancarlo Dotto ha pubblicato un romanzo (“Sono apparso alla mia donna”, Tullio Pironti editore: lo recensirò e ve ne consiglio la lettura) e lo ha presentato lunedì sera al Circolo Aniene di Roma, in casa di Giovanni Malagò. Ero invitato alla presentazione e alla successiva cena, purtroppo all’ultimo momento un problemino di ordinaria e quotidiana banalità mi ha impedito di partecipare (un giorno qualcuno dovrà pur scrivere, e io sarei felice di leggere, un librino che ci aiuti a evitare le banalità che consideriamo doverose, per avere il tempo di goderci ciò che più ci piacerebbe). Molto dispiaciuto, gli ho proposto di recensire l’evento con parole sue, ho cercato di stuzzicarlo, invitandolo a togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Non mi aspettavo, pur stimandone l’incontenibile ingegno, la risposta che sono autorizzato a pubblicare qui sotto: un piccolo capolavoro filosofico e anche autoironico. “Caro Cesare, l’antefatto. Ti ringrazio intanto per la storia dei “sassolini”. In effetti mi hai costretto a interrogarmi su una questione che non mi ero mai posto. Quella dei “sassolini”, appunto. Dopo aver ondeggiato e giocato a mosca cieca all’interno delle mie scarpe, non avendo trovato nulla e riemergendo anche un po’ stranito da questa non scoperta, mi sono chiesto con un minimo di frustrazione: perché mai non mi ritrovo nemmeno un sassolino? Sono dunque così Pollicino da non avere uno straccio di vendetta da consumare? Mi sa tanto, ma proprio tanto, che ci sono e non ci faccio, e che cioè il nostro posto nel mondo, specie questo mondo così voluttuosamente immerso nella fatiscenza, è una combinazione mais o meno fifty fifty tra la tua dose di caso/culo e le tue attitudine cagliostresche a plagiare e deformare quanto il caso/culo ti assegna. Dunque, non trovo sassolini perché non trovo nemmeno le scarpe, ma solo un corpaccione che vaga senza troppa ambizione sul cornicione di casa, bendato quanto basta, perché soffre di vertigo. Il fatto. “Presunto” si chiama il protagonista del mio romanzo. Direi un “noir” a non procedere. Un “noir” che non ce la a tingersi di nero. Ad essere inesorabili siamo un po’ tutti presunti. Vite immaginarie attaccate alla maniglia di un delirio che ha nome e cognome dentro un treno senza conducente la cui unica aspirazione è schiantarsi contro un muro. Ho detto ieri e lo ribadisco qui: presunto è più che mai l’autore di un romanzo (ma anche di un film, di un quadro, di una canzonetta o di una sinfonia). Il romanzo lo fa chi lo legge. E’ un test della sua personalità. Ho sempre trovato esilarante l’autore che si racconta o racconta la sua presunta opera. Qualcosa d’irresistibilmente comico che attiene al concetto (comico per eccellenza) del “chi mi credo di essere”. E dunque in sala, tra eccellentissimi amici e sconosciuti, ho scoperto con sano divertimento che il mio romanzo era almeno dieci cose diverse, tanti quanti sono fin qui i lettori, in attesa di auspicabili integrazioni. Chi l’aveva trovato spassoso (Lino Damiani), chi un grande romanzo cavalleresco (Giuseppe di Piazza), chi un godibile romanzo picaresco (Giulio Anselmi), chi qualcosa di “folle” e socialmente pericoloso da tenere lontano da sguardi minorenni (Luca Telese), chi insostenibile per la sua reiterata, ostinata morbosa illustrazione ai confini del corpo in quanto abiezione (Giampiero Mughini) e una delle due intraducibili voci del “reale” che ci assedia e ci governa, intraducibile e dunque irraccontabile. Una è il corpo, l’altra è la donna. Solo ciò che è intraducibile esiste. Chi l’ha vissuto come un meraviglioso pugno nello stomaco (la bellissima Alice Torriani, attrice emergente e lettrice impeccabile, insieme a Lucrezia Lante della Rovere, di alcuni brani). Chi ci ha trovato un grande elogio della donna, chi il suo contrario. La donna degradata e demone. Insomma, se il disordine è ricchezza, sono a cavallo. Viceversa, un gran fallimentare casino. Giovanni Malagò ha detto cose bellissime di me, persino imbarazzanti, ma poi ha cercato invano nel romanzo qualcosa in cui identificarsi (nella dedica gli avevo scritto da simpatica canaglia “troverai qualcosa che ti riguarda”, lasciando a lui il compito di trovarla). Rudi Garcia non l’ha ancora letto e non so se mai lo leggerà, ma ha detto che ha imparato l’italiano anche grazie a me e questo mi ha fatto sentire bene oltre che molto romanista. Luca Sossella, piccolo, grande editore ha detto che domina il gusto dell’iperbole e non so se è un complimento. Forse no.  Tutti, ma proprio tutti, dicono che è scritto bene, elogiano o scriba (chino), ma questo si riconosce gratis alla mia persona. Aspettando la versione del “Sono apparso” secondo Cesare Lanza, ho provato anche io a leggermi, ma non ho trovato la necessaria assenza di ego. Insomma, non ero abbastanza non io per leggerlo come se non fossi io. Posso dire solo questo. Che è scritto bene. Of course (vedi sopra). Che si sono almeno 14 pagine grandiose (un euro a pagina, il prezzo di copertina), che è per nulla velato l’omaggio all’amico Carmelo Bene (ma fu allora il grandissimo Ruggero Orlando, caracollando per via di una sbornia notevole e poggiandosi ai platani della villa di Forte dei Marmi, a interrompere Carmelo, impegnato alle 4 di notte in una forsennata partita di ping pong, urlandogli inconfondibile: “Caro Carmelo…ho saputo che sei apparso alla Madonna”). Presunto, più modestamente, appare alla sua donna. Galleggia miseramente ma anche eroicamente, messo in mezzo tra due figure per definizione allucinatorie, la donna amata e il padre odiato. Un ring dove è steso a priori. Fa di tutto per immaginarsi assassino e si ritrova ogni volta asino.  Che è poi il refuso tipografico (l’illeggibile parola con tre esse, “asssino” che barra la sua esistenza, dal bambino in poi). Tutto rigorosamente vero. Almeno così credo. Postfatto. Domanda più divertita che allarmata: Che sarà del mio presunto romanzo da Cesare Lanza in poi? La somma delle risposte sarà la risposta. Un abbraccio. Giancarlo.”

FERRUCCIO DE BORTOLI SCRIVERA’ SUL CORRIERE DEL TICINO

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Dal “Corriere della Sera” al “Corriere del Ticino”. Ferruccio de Bortoli ha diretto il maggior quotidiano italiano per dodici anni complessivi (sei più sei, in due diverse stagioni della vita) e da oggi scrive sul piccolo, ma molto prestigioso, quotidiano svizzero. Come ho scritto orgogliosamente tante volte, Ferruccio è stato un mio allievo, quarant’anni fa al “Corriere d’Informazione”: ne intuii subito le qualità, credo di conoscerlo bene, sia per la valenza professionale (è un dirigente nato, ancor prima e ancor più che un giornalista), sia per alcuni, perdonabili, difetti  nei rapporti umani. Lo conosco tanto bene da considerarlo, per me, prevedibile. Non mi ha mai sorpreso, se non nell’ultimo anno, quando ha opposto alla proprietà del Corriere, e ai massimi dirigenti, un fermissimo no su alcune questioni di principio. C’è chi insinua che lo abbia fatto per avere il sostegno dei sindacati e della sinistra. Sono assolutamente convinto che questa insinuazione non solo sia offensiva, ma anche sbagliata: è troppo intelligente, Ferruccio de Bortoli, e troppo astuto, per poter pensare che la sinistra e i sindacati lo sostenessero, indeboliti come sono e comunque inaffidabili, e lo rafforzassero! Ferruccio è stato un dirigente di grande classe e capacità: è stato disponibile al confronto, ha trattato, ha mediato, ha cercato soluzioni. Ma sulle questioni di fondo è sempre stato ben attento all’immagine e alla sostanza della sua indipendenza. Dunque non poteva acconsentire alla vendita della storica sede del Corriere, né tacere su alcune rovinose operazioni di azionisti e amministratori di Rcs (in primis quella spagnola), che si sono rivelate dannose per il Corriere, senza colpa dei suoi lavoratori. Mi ha stupito per l’esplicita, continua e aspra critica verso il premier Matteo Renzi: nell’articolo di congedo ha definito “un caudillo” il capo del governo, e di più, “un maleducato di talento”; ha auspicato che il decreto-legge sulla riforma elettorale non vada in porto. Ora, mi stupisce che si accontenti del “Corriere del Ticino” per pubblicare le sue opinioni: vero è che il patto di non concorrenza che de Bortoli ha firmato, a conclusione del suo mandato, vale solo per l’Italia, e dunque non per la Svizzera (come per tutti gli altri Paesi del mondo). Se volete leggere l’intervista che annuncia il suo passaggio al Ticino, digitatewww.lamescolanza.com, il nostro sito che mescola Lanza con tutte le voci libere e apprezzabili. Quanto a me, brindo alle sorprese che il cauto Ferruccio, in età anche per lui non più tenera, ci riserva. Me ne aspetto mille, e saranno degne di attenzione, forse anche – è una sorpresa pur questa! Grazie, Ferruccio – senza più bisogno di leggere tra le righe.

***Se volete scrivere, indirizzate a cesare@lamescolanza.com: Lanza risponde a tutti (tranne alle lettere anonime e/o ingiuriose) pubblicamente qui, o privatamente.

06.05.15