OGGI VI DICO CHE…  É FINITO LO STILE JUVENTUS?

“Dove è finito il famoso e qualche volta ipocrita stile Juventus? C’è stile in tutto quello che è successo ai vertici, con il presidente Andrea Agnelli che molla la moglie (può succedere, per carità…) per la consorte di un suo dipendente e amico, valente responsabile del marketing, per di più costretto ad evacuare dal club nell’imbarazzo generale? Con la moglie cui tocca metà del patrimonio che fa vedere ad Andrea ovviamente i sorci verdi? Con John Elkann che ne approfitta per l’ennesima battaglia interna ma immediatamente pubblica, contro il cugino per togliergli la presidenza?” (Oliviero Beha, “Arsenico, merletti e Vecchia Signora”, “Il Fatto quotidiano”, 26 settembre 2015).

ATTUALIZZANDO… L’ESTETICA É ANCHE ETICA

beha-foto1Leggo ogni giorno “Il Fatto”, ma questo articolo di Oliviero Beha mi era sfuggito. Beha è un signor giornalista, uno di quelli che non hanno paura, e ben mi ricordo (se ricordo bene!) come perse

un importante posto di lavoro perché, nel 1982, osò demistificare il successo della nostra Nazionale al campionato del mondo, solo contro tutti. In questo caso, non si tratta soltanto di scrivere con chiarezza, bravo Oliviero anche se non hai bisogno di complimenti, ciò che altri virtuosamente nascondono. Il problema è generale: in Italia abbiamo perso il gusto dello stile e del rispetto. Sapete che io ho la fissazione di mettere questa parolina preziosa, il rispetto, il rispetto della persona, non solo al centro di tutto, ma di più: basterebbe che sulla questione fondamentale del rispetto si incentrasse il primo e unico articolo della Costituzione (comprende tutto, giustizia, lavoro, uguaglianza, salute, corruzione… tutto). Lo stesso Gianni Agnelli, pur con le sue ipocrisie e il suo fascino tanto ammirato e post mortem contestato, diceva qualcosa di analogo. Forse lo faceva per snobismo, ma lo faceva.

LETTERE / FIAMMETTA JORI, IN MORTE DI MARIA GRAZIA CAPULLI

9690_maria-graziaMi ha scritto Fiammetta Jori, la mia amica poetessa che considero il mio Nobel personale: “Non volevo rattristarti con il mio spleen (a ciascuno il suo), ma da quando ho saputo di Maria Grazia sto male, forse esageratamente, magari una vaga identificazione con il suo mestiere e con i suoi bellissimi occhi azzurri… Ci siamo conosciute sei, sette anni fa alla presentazione di un libro di un giornalista del Messaggero (non ricordo il titolo) che raccontava di un amore tra un italiano ed una marocchina, con tutti gli attriti ed i fraintendimenti della “diversità”culturale, religiosa e dunque abissale, se l’amore non fa da ponte.

Era appassionata, Maria Grazia, di questi temi: le raccontai del mio matrimonio con un siriano, musulmano, di cui mai mi ero pentita, perché ciò che conta – eravamo d’accordo – è solo l’intelligenza del cuore… Alla serata era invitata anche Souad Sbai, rampante Presidente della Comunità maghrebina in Italia (ora onorevole, schierata con Forza Italia) molto agguerrita, molto “di parte” (un po’ troppo)… Facemmo “divanetto”, Maria Grazia ed io e poi qualche volta ci siamo risentite, ci fu un feeling reciproco benché non seguito da assidua frequentazione. Cosa che nella vita, soprattutto nella mia, succede spesso… per mille motivi, non ultimo l’accidia pura e semplice. Forse anche lei, certo più di me impegnata nel quotidiano, mi avrà pensata e penso che se avesse saputo lei della mia morte ne avrebbe provato uguale dolore. La reciprocità è una cosa seria, un legame reale, profondo e misterioso… mi dispiace che il destino non abbia “invertito” le parti, sarei rimasta, certo, nel suo cuore così come lei, per sempre, resterà nel mio. Ti sia lieve la terra, Maria Grazia. Ma spero ci sia per te solo cielo, limpido, infinito. Come il tuo sguardo”.

TELEFONATE / MARTA MARZOTTO: UN URAGANO DI RICORDI, IDEE, SENSAZIONI, PROGETTI

marta-marzotto-festival-venezia-2006_650x435Oggi dovevo essere a Milano, nella notte una febbriciattola (da troppo lavoro) mi ha convinto a restarmene a cuccia, a Roma. Marta Marzotto pensava che fossi a Milano, dove lei abita, e mi ha telefonato. Beh, ho detto tutto nel titolo. È stato per me un piacere dell’anima. È incredibile la forza trascinante che Marta possiede e trasmette, è positiva e propositiva: niente di meglio per un pessimista globale come me, che cerca di vivere ogni giorno nascondendo dentro di sé il vizio assurdo di pensare che la vita non abbia alcun senso. Mi sento rigenerato. Scrissi con Marta una delle più belle interviste della mia vita, merito suo naturalmente. Mi raccontò con lievità e meravigliosa impudicizia i suoi grandi amori, svelandomene anche uno, fino ad allora ignoto a tutti, un innamoramento segreto per un uomo importante (scomparso da poco). Non vi do altri indizi, salvo questo, risolutivo: era un personaggio politico di grande spessore, è morto centenario. Se volete saperne di più, prendetevi la briga di rintracciare l’intervista, rievocarla qui, ora, sarebbe volgare.

Marta, saltando pindaricamente da un argomento all’altro, mi ha raccontato cento cose, forse un giorno le raccoglierò e vi riferirò. Per il momento, una mi ha colpito e solo questa vi confido. Ha ricevuto un cesto enorme di fiori, ha ricordato che Guttuso, uno dei suoi grandi amori, una volta a Natale le mandò cinquanta mughetti… Le ho detto che anch’io volevo mandarle dei fiori, ma ormai mi aveva messo in ansia da prestazione. E lei: “Mi basterebbe una piantina di prezzemolo. Non mi piacciono i fiori recisi”. E proprio questo mi ha colpito. Ricordo che Gian Arturo Ferrari, impareggiabile editore, mi aveva detto che le idee per i titoli arrivano chiacchierando. E questo è un caso preciso: “I fiori recisi” è un gran bel titolo. Penso ai fiori di amore, di estro, di vitalità che ci rallegrano la vita; e anche a quelli che recidiamo, non comprendiamo, non coltiviamo, non riusciamo a trattenere con noi. Grazie, Marta: regalo il titolo a chiunque voglia e possa capirlo e raccoglierlo; e, se un giorno troverò il coraggio di scrivere lo strazio delle mie occasioni perdute, di amori, amicizie, sentimenti a cui ho rinunciato o che mi sono stati negati, il libro si chiamerà “I fiori recisi”.

CONDIVIDO: DAVIGO, OBAMA E FRANCESCO,                                                   LA POLONIA ANTI EUROPEISTA

papa1. Ciò che Pier Camillo Davigo, ex magistrato di “Mani Pulite”, chiede in un titolo su “Il Fatto quotidiano”: “Politici, fate pulizia”. Si sente, a pelle, che lui ci crede.

2. Leggo sul “Foglio”: Barack Obama: “Mettere fine alla disuguaglianza è la sfida più importante della nostra epoca”. Papa Francesco: “La disuguaglianza è la radice dei mali sociali”. Se non è retorica, se non è semplice scaltrezza di parole, se faranno qualcosa di concreto per opporsi alle ingiustizia delle disuguaglianze, mi schiero con tutti e due.

3. “In Polonia ha vinto il partito anti-Europa: maggioranza assoluta ai populisti” (La Repubblica). Mi compiaccio. Per due motivi. Uno: si potrà provare a vivere senza il collare europeo, o è proibito? Due: finalmente un voto netto, che dice cosa vogliono i cittadini, cosa vuole il popolo. Senza se e senza ma. Altro che il cerchiobottismo dilagante…

NON CONDIVIDO: LA ROMA E IL CORRIERE DELLO SPORT, L’AMBIGUITA’ DI MARINO, L’AMERICAN EXPRESS

marino1. Il sempre bello quotidiano sportivo titola: “La Roma comanda”. Attenzione: la Roma non comanda un bel niente, è solo prima in classifica dopo nove giornate (su trentotto). Fa bene l’allenatore Garcia a dire che non si considera favorito. La Roma ha la squadra giusta per vincere lo scudetto, ma deve guardarsi da se stessa e ben conosciamo le sue fragilità, deve guardarsi dalle esagerazioni dei suoi tifosi, delle radio, di una città sempre pronta a esaltarsi e a deprimersi.

2. L’ex (così preferisco chiamarlo) sindaco di Roma Ignazio Marino continua nella sua disperata ambiguità: una parolina qui, un’altra diversa lì, un passo avanti e un passo indietro, mentre la città – la grande città che avrebbe dovuto amministrare – è in rovina. Non si capisce se voglia ritirare le dimissioni o no, se voglia presentarsi alle primarie per le prossime elezioni. Il solito vezzo di dire e non dire, e di non aver fatto nulla, per Roma. E daje! E basta! Mandiamolo a casa, ce la possiamo fare.

3. L’inserto “Affari & Finanza” si occupa dell’American Express e dice, non è un gioco di parole, che questa carta di credito perde credito. Chiunque può verificare che non è accettata in un numero sempre più ampio di locali, ristoranti, negozi. Perché? Dicono che la provvigione sia troppo alta. E cosa farà l’American Express?

IL DEBUTTO – TAGATA’ – DI TIZIANA PANELLA, A LA 7, CAUTO OTTIMISMO…

tiziana-panella-681193È partito il nuovo talk show dell’emittente di Urbano Cairo, con un curioso nome: “Tagatà”, conduttrice Tiziana Panella. Approvo l’estensione al pomeriggio dei dibattiti che imperano a La 7. Perché costano niente e propongono un’identità importante (problema universale, ovviamente non solo in televisione). Al mattino e alla sera i talk show dilagavano, ora anche il pomeriggio si adegua alla linea editoriale, spazzando via qualche vetusto telefilm. I problemi, a mio parere, sono due: la qualità della conduzione e l’assenza di una convincente vox populi. Il problema della conduzione è che, troppo spesso, i conduttori non sanno dominare il chiasso e lo strepito degli ospiti e, anzi, hanno la fregola di imporsi e inserirsi anche con le loro (quasi sempre trascurabili) opinioni. La vox populi sarebbe indispensabile: la gente detesta sempre di più i talk dove si riuniscono i soliti noti di una classe politica che ha indotto mezza Italia, più o meno giustamente, schifata da certi personaggi. Questo problema spinge il pubblico a fare d’ogni erba un fascio, a detestare anche i conduttori e i programmi, tout court.

Ho visto solo un pezzo di “Tagatà”, mi sembra che la signora Panella sia partita bene: senza chiasso, riduzione di sovrapposizione di voci, qualche ospite nuovo. Manca ancora la vox populi, ma si può esprimere ottimismo, ovviamente cauto, dopo la prima puntata.

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26.10.2015