OGGI VI DICO CHE… ALLA LARGA DAI CLUB DI CALCIO

“Una squadra di calcio è come una bella donna… Ti piace, find te ne innamori, esplode la passione, perdi la testa. Metti in gioco tutto, a volte anche famiglia e figli, il tempo che hai a disposizione, gli interessi personali, gli affari, il lavoro! Lei ti dice di sì e ti senti al settimo cielo. Poi, spesso succede – quasi sempre nel mondo del calcio – che il rapporto mostra tutte le sue spine, la squadra di calcio ti costa tanto e ti delude, i tifosi ti voltano le spalle, tutti se la prendono con te per le colpe tue e anche per quelle che non sono tue… Idem, la bellissima donna: civetta e fa l’amore con tutti, ma non più con te, per te da un certo momento in poi ha solo rivendicazioni, risentimenti, aggressività.” (Lucio Presta, da una conversazione, oggi 24 marzo 2015).

ATTUALIZZANDO… ANNI FA CI PROVAI COL COSENZA

Lucio Presta

Tanti anni fa avevo (e da qualche mese ho recuperato) uno splendido rapporto con Lucio Presta, leader indiscusso nel mondo dello spettacolo. Tutti e due cosentini, amavamo e amiamo la squadra calcistica della città. Sicuro della mia impunità, misi in circolazione una indiscrezione del tutto priva di fondamento: Lucio Presta era (niente di vero) interessato ad acquisire le azioni del club. Come prevedevo, la città si accese immediatamente. Presta, con la sua ben nota abilità, elegantemente si sfilò, e smentì affettuosamente il gossip che avevo creato e mi fece capire, fraternamente, che non era il caso di insistere. Oggi, a distanza di molti anni, durante una chiacchierata dedicata ad altri argomenti, ho capito, vedi sopra, quali fossero le ragioni del suo rifiuto ad occuparsi di calcio. Aveva, leggete qui sotto, pienamente ragione.

CALCIO A ROTOLI, PARMA FALLITO. MA PARLIAMO ANCHE DI MILAN, INTER, ROMA…

Parma

 Il calcio è cambiato profondamente, tutti ormai ne sono convinti (segnalo anche alcune pagine del libro “Una vita” di Massimo Fini, innamorato del Torino). La Juventus è l’unica a resistere, legata alla famiglia Agnelli: non escludo però che Sergio Marchionne, prima o poi, non conceda il tris – dopo Fiat e Ferrari – e non se la porti all’estero, per altro il marchio internazionalmente è ben quotato. E il resto? Berlusconi dà l’idea di rinunciare definitivamente a ricostruire il Milan nella grandezza che aveva raggiunto, sta cedendo quote agli stranieri, Massimo Moratti l’ha già fatto abdicando a favore di un indonesiano, la Roma è americana e stiamo assistendo all’ennesimo progetto fallito… Forse qualche ambizione ha Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, patron del Sassuolo: difatti la squadretta, diciamo così affettuosamente, gioca da protagonista in serie A. Altri club – l’Udinese della famiglia Pozzo, il Palermo di Zamparini, il Genoa di Preziosi, la Lazio di Lotito… – sono di proprietà, e astutamente gestiti, di grandi imprenditori e uomini d’affari, interessati maggiormente a una fruttuosa, compulsiva compravendita dei giocatori, piuttosto che allo scudetto o a successi internazionali. Nella Sampdoria, il mistero Ferrero ci diverte, ma non promette prospettive affidabili. Nel Napoli e nel Torino De Laurentis e Cairo si comportano da accorti industriali, attenti giustamente ai ricavi e a evitare di fare passi che le gambe non consentano.  Forse, solo la Fiorentina, perseguitata dalla sfortuna per i lunghi infortuni ai due campioni, Rossi e Gomez, in cui aveva principalmente investito, riesce a reggere botta. Ma diciamo la verità, nel complesso il quadro generale è ben lontano dallo splendore di pochi anni fa. Con un’insidia micidiale, costante e pericolosa per tutti. Le tifoserie, gli ultrà sono pronti a rivoltarsi contro dirigenti e allenatori, pretendono sempre di più, a volte si abbandonano a violenze ingiustificabili, se i risultati non arrivano ogni pretesto è buono per ribellarsi. In sintesi, sul fallimento del Parma tutti hanno speso parole a volte anche esagerate, mentre i club a rischio sono anche molti altri. In quattro parole, con intelligente lungimiranza, l’amico Lucio aveva capito tutto…

RIZZOLI, LA VERA STORIA DI UNA GRANDE FAMIGLIA ITALIANA. UN LIBRO INTERESSANTE, PERO’ UNA GRANDE OCCASIONE PERDUTA

 Rizzoli copertina

Ho finito di leggere il libro, edito da Mondadori, che i due cugini Nicola Carraro e Alberto Rizzoli hanno dedicato al loro leggendario nonno Angelo, fondatore della casa editrice che arrivò a primeggiare in Europa. Avevo già scritto qui qualcosina, alcuni giorni fa, una lieve stroncatura, scusandomi perché avevo avuto l’impulso di esprimere la mia delusione, ma dopo aver letto soltanto cinquanta pagine. Ora confermo la delusione. E anche il disagio: perché con Nicola e Alberto ho avuto rapporti sporadici, ma sempre amichevoli, e tutti e due, miei coetanei, mi sono umanamente molto simpatici. Non è gentile, forse, scrivere in modo negativo del lavoro di persone amiche, ma spero che Nicola e Alberto considerino la mia recensione come un gesto schietto di rispetto per la loro intelligenza. Del resto, il libro ha avuto una formidabile promozione in televisione in tutti i programmi televisivi (in scena sempre Nicola, mai Alberto): che apporto potrei dare, nel mio modesto blog, se non attraverso il valore di una estrema, anche se rude, sincerità? Sono indispensabili due riflessioni. La prima: di fronte all’inconsistenza del libro, un’attenuante formidabile c’è. Ci sarebbe voluto un Thomas Mann, per raccontare la storia grandiosa della casa editrice Rizzoli, del protagonista e fondatore Angelo, il Commenda, ma anche della sua famiglia, dei figli, degli eredi che la distrussero, dei banchieri, degli avventurieri, degli uomini politici e dei manager che prima la distrussero, e poi della cosiddetta alta finanza che conquistò rapinosamente la casa editrice dando al bel mondo, ipocrita e distratto, l’impressione di averla generosamente salvata. Vero è che i due cugini dicono di voler fermarsi al racconto dell’epopea del nonno, senza entrare nel cuore della disastrosa decadenza (pur facendovi ampie allusioni nelle ultime pagine), ma a mio parere un libro sulla Rizzoli non doveva neanche essere concepito, immaginandolo privo della tragedia conclusiva. Seconda riflessione. Mi sarebbe piaciuto leggere qualche riferimento al senso, ovvero al non senso, della vita. Non voglio minimamente criticare i due cugini. Anzi: mi costituisco. Alla mia età, che poi è uguale alla loro, sono quotidianamente colto dall’urgenza di provare a tirare le somme, a fare qualche bilancio. Nel mio piccolo, la conclusione è lucida e amara: ho largamente sprecato la mia vita, ho sciupato il meglio, mi sono scioccamente deliziato con il peggio. Caro Nicola, caro Alberto: appartenendo a una grandissima famiglia, e fortunati eredi di un uomo eccezionale, avevate la possibilità di ostacolare il destino e gli eventi che hanno portato alla capitolazione della grandiosa casa editrice. Non voglio essere crudele, non ne avrei alcun diritto e il pulpito sarebbe ridicolo, ma direi che non ci avete neanche provato. Perché? Avete un’infinità di motivazioni e di attenuanti, essendo la famiglia braccata, un minuto dopo la scomparsa del Commenda, da lupi affamati, iene senza scrupoli, ladroni in gessato e un’infinità di nemici, quasi sempre camuffati, privi di ogni pur minimo scrupolo. La famiglia Carraro, senza opporsi e senza lottare, si è defilata, optando – e chi potrebbe criticare la scelta? – per la salvezza del patrimonio. Alberto, in maggiore difficoltà, si è rovinato e ha pagato duramente anche i peccati non suoi, quelli legati alle velleità del fratello Angelone (le pagine legate a un’analisi psicologica, da fratello a fratello, sono le più toccanti). Questa è la storia, anzi il racconto che mi aspettavo. Penso che ogni lettore se l’aspettava, da personaggi come Nicola e Alberto. Invece, i due cugini civettano tra di loro, vellicandosi con una corrispondenza che si apre sempre con un “caro Albert”, a cui corrisponde immediatamente – non sempre – un “caro Nik”. Sembra un giochetto salottiero: molto interessante l’infinità di piccoli episodi, che sarebbero futili e irrilevanti se non appartenessero alla saga con quel nome. Nik ha il sopravvento, si allarga restringendo gli spazi per Albert, che appare più sensibile. Mi sarebbero piaciuti molto anche giudizi duri e crudi sui personaggi (i lupi, le iene, gli avvoltoi…) che hanno contribuito a distruggere, dall’interno e dall’esterno, ciò che il Cummenda aveva prodigiosamente costruito. E che, prima della fine, aveva avuto la tentazione di vendere, forse fiutando la catastrofe: questo episodio è uno dei pochi, veramente storicamente interessante. Le lacune principali sono due: poco si sa, poco è raccontato della formidabile ascesa del fondatore Angelo Rizzoli. E niente è detto su figure come Gianni Agnelli, Angelo Moratti, Giulia Maria Crespi – i proprietari del Corriere della sera, che passarono mano. Né Di Calvi, Ortolani, Bruno Tassan Din e tanti altri. Quanto allo stile del racconto familiare, non mi piace il tono sempre dolciastro ed elusivo, fa male al mio diabete! Chiedo scusa umilmente per la severità. Insomma, è andata così e sinceramente, col cuore, mi dispiace.

PICCOLI SEGNI DI CRISI/ POCHE COLOMBE, PIU’ PRODOTTI BIO

tofu

Approfittando della solitudine casalinga in cui sempre più frequentemente mi ritrovo, ho preso la buona abitudine di fare la spesa nei supermercati. Ovviamente, se vi interessa, sono sempre guidato dal mio dna giornalistico. Ecco un sondaggio personale, con tutti i vantaggi della mia sincerità e i limiti dell’improvvisazione. La Pasqua è prossima, mi impressiona che nessuno al momento, e anch’io nonostante la mia golosità, si preoccupi di acquistare uova e colombe. Ho notato che esiste un mercato, che invece si sta facendo largo: è quello legato ai prodotti biologici. Seitan, tofu, quinoa mi sembrano gli alimenti di maggior successo: corigetemi, come disse Wojtyla, se sbaglio. Ma direi che è crescente il numero di vegetariani e vegani, gli scaffali dei supermercati si riempiono di prodotti che mi sembrerebbero legati a località turistiche o a nuovi farmaci – se non fossi diventato un bravo e coscienzioso casalingo. E non è finita! Bistecche di lupino, absit iniura verdis, burger di quinoa e zucchine, bocconcini di seitan con piselli: costano poco, mi dicono che non entusiasmino per il sapore, sono pranzetti che ancora non mi concedo. Ma l’istinto e la crisi mi dicono che consumerò. Fanno anche bene alla salute, relata refero. Dubito che la domenica di Pasqua, però, saprò rinunciare all’agnello a favore di spaghetti di kamut e polpette di miglio e soia o di un bel piatto di falafel. E dire, mi sembra ieri, che mi deliziavo con scorpacciate di focaccia al formaggio (di Recco, of course). C’è qualcosa di simile, biologicamente, parlando, tra gli scaffali dei supermercati? Scommetto di no!

*** IL CATALOGO DEI LIBERI DI MENTE, I NECROLOGI E/O TUTTO CIO’ CHE VOLETE. Scrivetemi, se volete, indirizzando a cesare@lamescolanza.com Risponderò a tutti: qui o privatamente. Mi permetto di ricordarvi che terrei molto alle vostre segnalazioni per comporre il mio catalogo dei personaggi, viventi e defunti, definibili “liberi di mente”. E non solo: se volete farmi un regalino, mandatemi il vostro necrologio, su di me: li colleziono in vita per mio diletto, il vostro vantaggio sarà quello di non dover sprecare – eventualmente – tempo e denaro, quando sarà. Se poi pensate che è un’esigenza futile e stupida, vi capirò (intervenite sugli argomenti che preferite, accetto qualsiasi cattiveria, niente insulti né bestemmie però: non ne faccio e non ne voglio).

24.03.15