OGGI VI DICO CHE… IL RISPETTO, COS’È

“Il rispetto… è l’apprezzamento della diversità dell’altra persona, dei modi in cui lui o lei sono unici”. (Annie Gottlieb)
“Se vuoi essere rispettato dagli altri, la cosa più grande è rispettare te stesso. Solo in quel modo, solo con il rispetto di te stesso tu obblighi gli altri a rispettarti”. (Fëdor Dostoevskij)
“Rispetta il prossimo tuo come te stesso, e anche qualcosa di più”.(Leonardo Sciascia)
“Rispetta te stesso e gli altri ti rispetteranno”. (Confucio)

ATTUALIZZANDO … PER ME, UNA PAROLA SACRA

sinonimi-di-rispettoRispetto, per me, è una parola sacra: resisterà a ogni erosione, perfino allo sputtanamento dell’utilizzazione (esaltatrice, complice, connivente o sprezzante e derisoria: non mi interessa) che se ne fa parlando dei capi di mafia e malavita. Associandola a un’altra parola che dovrebbe essere sacra e santificata, “onore”.
Più di una volta ho scritto che, per la Costituzione, basterebbe un unico articolo: “L’Italia è una Repubblica fondata sul rispetto della persona”. Un unico articolo: nel concetto c’è tutto e tutto sarebbe tutelato. Per il Paese che sogno: giusto, colto, liberale, libertario, educato, solidale, generoso, altruista, creativo, non violento.

PIERO OTTONE MERITAVA BEN ALTRO RISPETTO

piero-ottone-600Piero é stato uno dei miei due grandi direttori (l’altro, Antonio Ghirelli). Scrivo con disagio questa nota perché so bene quanto preferisca la misura, la riservatezza, la discrezione. Uno stile english, che purtroppo non mi è proprio. Dunque, venerdì rispondendo a lettori che mi chiedevano nomi e cognomi, in caso fosse necessario trovare un successore per Renzi, tra i tanti nomi possibili (moltissimi, a mio parere) avevo inserito anche Ottone.
Purtroppo, lo stesso giorno, nella sua rubrica sul “Venerdì“, Piero annunciava il suo congedo, per ragioni di età. La rubrica era impaginata come al solito – male – e mi era inizialmente sfuggita. E così mi sono infuriato. Ho sempre pensato, e non l’ho mai scritto fino ad oggi, che gli scritti di Ottone su “La Repubblica” e la rubrica sul “Venerdì” meritassero ben altro rilievo.

LASCIATEMI DIRE…

lasciatemi-direIn casa altrui è meglio non mettere il naso. Con tutto il rispetto (riecco la parola magica) verso i miei colleghi giornalisti, questa volta non resisto. In primo luogo, Piero è stato un maestro di giornalismo. Un indimenticabile direttore de“Il Corriere della Sera”. Indipendente, onesto, libero di mente, rigoroso e creativo, innovativo. Non è mai stato stupidamente vanitoso e mai smodatamente ambizioso (a differenza di tanti suoi colleghi). Per di più, sempre a differenza di tanti, anche nel suo gruppo editoriale, ha avuto la dignità e il coraggio per dire alt, a se stesso. E lo ha fatto con garbo, con interessanti riflessioni sulla decadenza della società occidentale.
Penso quindi, semplicemente, che sia il quotidiano sia il settimanale che hanno avuto il privilegio di pubblicare per decenni i suoi articoli e la rubrica avrebbero, doverosamente, fatto bene a dedicargli qualche pagina affettuosa. Lo penso e lo dico: non sono english, ma un passionale meridionale. Sono assolutamente certo che il mio caro maestro (non lo vedo da un’infinità di tempo: è un acuto rimpianto, per me) preferisca invece che sia andata così: un’uscita in punta di piedi. Lo apprezzo anche per questo, ma ribadisco: se avessimo avuto un capo del governo in passato come lui, o simile a lui, e se lo avessimo in futuro, spero, dopo Renzi, gli italiani oggi e domani sopporterebbero un minor peso, e numero, di indecenti guai.

“LA REPUBBLICA”, UN LIBRO DI FRANCO RECANATESI

la-mattina-andavamo-in-piazza-indipendenzaEd ecco una grande manifestazione di rispetto. Franco Recanatesi ha scritto – in libreria in questi giorni – un bel racconto sulla straordinaria impresa de “La Repubblica”, dal titolo “La mattina andavamo in Piazza Indipendenza”, editore Cairo.
Prima di parlare del rispetto, vorrei ricordare a coloro che non lo sanno che Franco e io siamo stati due debuttanti a “Il Corriere dello Sport” di Ghirelli, eravamo (e siamo!) amici fraterni, all’epoca dei primi passi quasi sempre senza un soldo in tasca, ma già sposati e, per nostra incoscienza, con prole. A poco più di vent’anni. Io rude e impetuoso, lui fine ed elegante: una coppia perfetta, in tipografia e in redazione, e fuori, in famiglia e per strada. Nel calcio e a poker, con un tavolo che ha resistito per decine di anni.
Ma vengo al libro, parlo di rispetto perché – con il suo stile raffinato – Recanatesi racconta la storia di questo grande giornale, dalla nascita fino al giorno incredibile in cui raggiunse e staccò la tiratura de “Il Corriere della Sera”… Racconta con rispetto verso tutto e tutti. Sembra qualcosa di facile e semplice. In realtà sappiamo che “La Repubblica” è stato un giornale incendiario, come il suo fondatore Eugenio Scalfari: ha spaccato l’opinione pubblica, la politica, i benpensanti, i giornalisti, l’economia e la finanza, e non so quante altre categorie del nostro bel Paese. Ogni riga stampata, una polemica, o quasi. Franco è riuscito a raccontare tutti i protagonisti, e i loro numerosi avversari e antagonisti, con una sobrietà insolita per un romanaccio di strada come lui. Acquistate il libro, leggetelo: tranne qualche lapsus, rarissimo, non solo è ben scritto, ma anche documentatissimo, al contrario del difetto – superficialità e approssimazione – che squalifica il nostro miserabile mestiere, almeno com’è largamente esercitato oggi.
Sono citato generosamente più di una volta, ma con il caratteraccio che conoscete preferisco ricordare qui, sperando di non mettere a disagio il mio amico, alcune discussioni private. In quella principale sono sicuramente perdente di fronte, presumo, al conformismo di tanti colleghi: sostengo che, quanto a puro giornalismo, Ezio Mauro sia stato superiore al suo predecessore Scalfari, che di “La Repubblica” fu ideatore, fondatore, selezionatore di talenti, insigne e temutissimo polemista, sempre con il sogno, sfacciatamente esibito, di diventare dominus assoluto della politica e di quanto in Italia si è svolto nelle stanze del potere, durante la sua lunghissima direzione; e anche dopo. Diversamente da Franco, che si indigna di fronte alla mia valutazione, penso che Mauro sia stato superiore a Scalfari perché, per me, il mitico Eugenio è stato qualcosa di più e di molto diverso di un giornalista. È stato un geniale e combattivo imprenditore, spesso è andato giù per le spicce, come un pugile che cerca il k.o. sul ring, stufo di gareggiare senza colpi definitivi; è stato un politico, un ambizioso scalatore, un Narciso innamorato di se stesso ma sempre capace di salvare la ghirba… La creazione, il successo, l’esistenza ormai storica e incontestabile di “La Repubblica”, fanno capo a tutte le sue qualità e ai suoi difetti. Ezio Mauro ha preso la sua pesantissima eredità e, come giornalista puro, è stato capace di mantenere in piedi il capolavoro, garantendo la diffusione, gli equilibri, il prestigio, l’autorevolezza nei due settori più cari a “La Repubblica”: la politica e l’economia. (Tra parentesi ricordo che, per lo snobismo di Scalfari, “La Repubblica” nacque senza cronaca e senza sport, anche lo spettacolo era ridotto ai minimi termini. Tuttavia, si tratta di settori indispensabili per l’affermazione di un qualsiasi grande quotidiano, quando Scalfari se ne accorse, disinvoltamente cambiò la rotta…).
Il libro di Recanatesi è ricco di retroscena, con testimonianze fornite dalla maggior parte delle grandi firme del giornale, di cui – ho dimenticato di dirlo – Franco è stato un gagliardo, non secondario componente. Ad esempio, ricordavo a malapena e in modo inconsistente il gustoso episodio di Scalfari che incontrò Indro Montanelli (che a sua volta stava fondando “Il Giornale”) per proporgli di fare un quotidiano insieme. E il superbo Narciso era disposto a essere il condirettore e a lasciare a Montanelli l’ultima parola, in caso di divergenze. Non so se Montanelli fece bene a rifiutare. Probabilmente sì perché sarebbe stato a poco a poco stritolato da Scalfari, infinitamente più paraculo, cinico e concreto di lui. Probabilmente no, perché se fossero andati d’accordo – i due grandi condottieri – forse “La Repubblica” avrebbe avuto un successo anche maggiore, correggendo il suo difetto costante, la faziosità, il disprezzo verso chi non la pensi come il vertice integralista di quel pur fantastico gruppo di lavoro.

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29.11.2016