OGGI VI DICO CHE… SPAZIO POST PASQUALE AL PAPA

Siamo reduci da Pasqua e Pasquetta,  giorni futili e superflui come tutte le festività obbligate dal calendario e dalla tradizione. Non mi riferisco ovviamente  ai sentimenti religiosi, spesso purissimi ma a volte convenzionali e superficiali: comunque degni di rispetto e/o di attenzione. Mi riferisco – per la futilità e superfluità – al pretesto che anche grandi feste religiose come la Pasqua offrono a (quasi) tutti, compresi i credenti, per fare baldoria, gozzovigliare, allontanare la mente dal lavoro, dai problemi e anche dai veri valori che inseguiamo nella vita. Ebbene: usciti bene o male dalle scorpacciate di cioccolato e dei poveri innocenti agnelli finiti arrosto, riprendo il mio diario con una rinnovata voglia di proporre qualche riflessione non banale e perciò lascio il mio spazio a un articolo, splendido come sempre, di Riccardo Ruggeri: sulla figura, l’identità del Papa. E’ un’analisi intinta in una rara qualità: la capacità di fondere il devoto rispetto che prova chi è credente con il distacco intelligente, ma sempre rispettoso, di chi sa mantenere una lucida e laica coscienza critica.

DUE O TRE COSE CHE HO CAPITO DI BERGOGLIO

Papa Francesco

di Riccardo Ruggeri

Omne vivum ex ovo, tutto ciò che è vivo discende da un uovo. Niente di meglio, nella sosta pasquale, che riflettere sull’uovo di Bergoglio. Dopo due anni di pontificato qual’è il suo uovo? Quello che ci porge con le sue parole, cos’è? Come possiamo separare il “bianco” dal “rosso”? Quando Papa Francesco parla di religione e di dottrina, come cattolico non mi permetto neppure un sospiro, mentre invece non ho alcuna sudditanza verso il Bergoglio uomo. Certo non lo tratto come i politici alla Obama, alla Hollande, alla Renzi, ma con lo stesso rispetto che avevo per Einaudi o per De Gasperi sì. Cosa significano le parole che ha detto sulle terribili vicende pasquali? Il meraviglioso ”Uccisi nel silenzio complice” è un (bel) titolo per Avvenire o una Enciclica Papale in elaborazione? Premetto che ho troppe poche informazioni su di lui, quindi la mia analisi sul Bergoglio uomo è la stessa di quando dovevo selezionare manager di livello, per ruoli aziendali che richiedevano pure un certo spessore socio culturale: curriculum, colloquio, linguaggio, “pelle”. Mi ero innamorato di una modalità, scoperta negli anni ’20-‘30 da un linguista americano, Benjamin Lee Whorf. Diede addirittura il nome (Whorfianism) allo studio degli individui attraverso il rapporto fra il loro idioma e la loro visione del mondo. Per anni, mi immedesimai talmente in questa teoria che mi convinsi che il linguaggio potrebbe influenzare il nostro pensiero. Almeno, nel mio caso è così. Conoscere Bergoglio attraverso il suo linguaggio, questo è stato il mio obiettivo fin dal primo giorno, non è per nulla semplice. Certo, è figlio di poveri emigranti piemontesi, che arrivarono in nave nella lontana Argentina, colà incontrò la povertà vera, la sua, ma ancora peggio, per tutta la vita fu immerso, e crebbe, nella povertà (violenta) degli altri. Probabilmente si dovette sentire come quei secondini che hanno trascorso la vita in prigione, pur essendo uomini onesti e liberi. Divenne gesuita, sappiamo che nell’opinione pubblica, e persino nei romanzi, questi vengono associati al machiavellismo, alla sete di potere. Ascoltandolo parlare, quando ripulisci il suo linguaggio da comprensibili astuzie linguistiche, mi sia consentito, un po’ da oratorio (la corruzione spuzza), da un eccesso di semplicità (questo però lo rende simpatico, sia alla povera gente, che alle élite, i primi lo sentono uno di loro, i secondi non lo percepiscono come una minaccia, ma una “macchietta” che curiosamente chiama “sterco del diavolo” il loro Dio), capisci che è assai più attrezzato intellettualmente di quanto voglia far apparire. Se riesci a grattare  la prima pellicola protettiva, sotto trovi i sedimenti di antiche dottrine ecclesiali, ecumenismo, visioni teologiche, storie intrecciate col catto comunismo di una certa epoca storica, di difficile comprensione per noi europei, ma che per cinquant’anni ha sconvolto la mistica politica del continente centro-sudamericano. Quando lo senti parlare capisci che il suo è un italiano eccellente, astutamente lo declina in modo popolare, però mai lui pensa in italiano, sempre in spagnolo. E’ impossibile essere perfettamente bilingui, infatti il Whorfianism teorizza che quando parliamo la nostra seconda lingua ci sentiamo, in determinate situazioni, meno sicuri, per cui inconsciamente modifichiamo i nostri atteggiamenti. Bergoglio, pensando in spagnolo e parlando in italiano, ha più tempo (frazioni di secondo) per misurare  le parole: per un uomo pubblico come lui un vantaggio straordinario. Solo quando parla della Curia si percepisce la durezza del gesuita, l’agnello delle piazze si fa spietato cacciatore, pur vivendo a Roma si capisce che la sente lontana, le acque del Tevere le vede sempre limacciose. Probabilmente, se fosse per lui si trasferirebbe a Gerusalemme, come il cardinal Martini. E’ venuto dalla fine del mondo (occidentale) ma si intuisce che a Roma non è felice. Infatti guarda a Sud e a Est, intuisce che là c’è il futuro della Chiesa. Lo capisco.

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 07.04.15