OGGI VI DICO CHE… L’INDISPENSABILITA’ DEL DUBBIO

“Il dubbio è scomodo ma solo gli imbecilli non ne hanno”. (Voltaire)

ATTUALIZZANDO… CANNABIS, TRA VERONESI E SORRENTINO

cannabis

Stimo il professor Umberto Veronesi, lo conosco bene, sono amico del neurologo Rosario Sorrentino, gli sono anche grato – e lo dico qui, pubblicamente, come fecero decine di pazienti da lui rimessi a nuovo, a fronte di attacchi di panico, in una conferenza a cui ebbi l’onore di partecipare – perché trasse in salvo dallo sgomento e dalle insicurezze una amatissima persona, sangue del mio sangue. Come sempre, cerco di esprimermi con chiarezza e sincerità. Dunque, in questo caso, potete immaginare il mio imbarazzo, di fronte alla diatriba – sulla cannabis – tra i due eminenti medici. Per istinto, contrario come sono a ogni proibizionismo, mi schiererei a fianco di Veronesi. Per cuore, cioè per  affetto, e per ragione, opto per Rosario. Leggerete, se volete, le due ragioni qui sotto, esposte in un lucido articolo pubblicato stamattina sul Corriere della Sera. Aggiungo che l’indispensabilità del dubbio, come valore intellettuale, è un mio “credo” filosofico irrinunciabile e con eguale vigore disprezzo ogni pregiudizio. Dunque vero è che sono, sempre, antiproibizionista, ma mi pongo anche il dubbio che la mia rigida intransigenza possa essere, come in questo caso, un errore intellettuale.

LE RAGIONI DI ROSARIO SORRENTINO, CONTRO LA CANNABIS

Rosario Sorrentino

“Caro Veronesi, che autogol la sua indulgenza sulla cannabis”

Egregio Professor Veronesi, sono un uomo di scienza come Lei, un neurologo, che non ritiene di avere nei confronti della cannabis una posizione ideologica, politica, né tanto meno dogmatica. E questo perché non penso sia giusto né utile affrontare, analizzare, un tema così delicato in modo emotivo, passionale, concludendo o tagliando corto, “cannabis sì, cannabis no”. Come lei ci insegna la scienza, per fortuna, non procede, non progredisce per sensazioni o stati d’animo, ma si basa nel suo intero percorso conoscitivo partendo dal dubbio come metodo, per giungere a una qualche forma di verità seppur parziale e provvisoria. Anche perché come Lei ben sa, il compito della scienza non dovrebbe essere quello di dare certezze assolute, definitive ma di ridurre il più possibile le incertezze. Non è nelle corde della scienza, infatti, produrre discorsi potenti in grado di stupire, affascinare chi ascolta, quanto piuttosto quello di fornire dati e ricerche su cui riflettere e ragionare. Vedo sempre più spesso il rischio che, anche autorevoli uomini di scienza, che più di altri dovrebbero rimanere ancorati al rigore metodologico possano, a volte, inciampare e scambiare le proprie conclusioni su un fatto, una circostanza o un fenomeno per quelle che poi si rivelano, nel corso del tempo, solo opinioni personale. Sono certamente idee, posizioni legittime, autorevoli ma pur sempre solo e soltanto opinioni. Ecco perché trovo la sua posizione, più volte espressa pubblicamente, sulla cannabis paradossale, irragionevole e incomprensibile. Perché proviene da un illustre scienziato, che ha speso la sua vita intera per sconfiggere il cancro, una dei flagelli dell’umanità. Mi auguro che questo suo modo di procedere sul tema sia soltanto una provocazione, anche se penso che su certe questioni bisognerebbe essere chiari, per non correre il rischio di essere strumentalizzati diventando così, suo malgrado, una sorta di “bandiera” dell’antiproibizionismo. Qualora però fosse realmente convinto delle sue posizioni, che la portano a considerare lo spinello una sostanza innocua, lo considererei un clamoroso autogol per la salute dei giovani e per la scienza intera. Le ricordo professore che il “bad trip”, le reazioni avverse alla cannabis (come ad altre più nocive sostanze), non si concludono purtroppo in una semplice “indigestione”, risolvibile in un paio di giorni, perché spesso rappresentano il triste esordio di un lungo calvario che spalanca le porte alla sofferenza e ad una delle tante forme di disagio mentale. La cannabis ha da lungo tempo perso la sua innocenza e l’aggettivo qualificativo “leggera”, che spesso l’accompagna, è falso e pericoloso. Vorrei invitarla nel mio studio, per farle vedere e ascoltare cosa può sprigionarsi nella mente di una persona anche dopo poche boccate dell’ “innocente” spinello. E mi creda, anche la cannabis ha i suoi lati oscuri, i suoi peccati e vedere che qualcuno voglia frettolosamente sdoganarla come se fosse una semplice “tisana”, mi lascia molto perplesso e spesso indignato. Mai, come negli ultimi anni, ho visto crescere di molto, il numero degli adolescenti che si rivolgono a me proprio perché colpiti da attacchi di panico e non solo, in seguito all’uso anche occasionale di cannabis. Purtroppo gli attacchi di panico non sono una scelta, un’invenzione o un capriccio per dispiacere o fare un dispetto a qualcuno, ma una malattia, che può segnare l’intera esistenza di chi ne soffre e la vita delle persone che gli vivono accanto.

ANCORA VERONESI,  SULL’ESISTENZA DI DIO…

Umberto Veronesi

E oggi, su La Repubblica, potete leggere, qualora vi interesse, una riflessione, semplicemente splendida per capacità di divulgazione culturale, di Vito Mancuso. Si tratta di una replica a un nobile e antico dubbio, proposto questa volta da Umberto Veronesi e perciò particolarmente degno di attenzione. Il tema é altissimo: esiste Dio? (Solo per sdrammatizzare ricordo la battutaccia di Woody Allen… Esiste Dio? E un idraulico a Ferragosto?).
Veronesi propone un interrogativo (lui che ogni giorno vede il Male, il dolore, le atrocità e quant’altro è legato ai tumori) più inquietante, che mi tormenta da quando ho l’età della ragione. Come può esistere un Dio, creatore del mondo e degli uomini, che consenta tante incomprensibili ingiustizie, tanta violenza, tanta assurda sofferenza?  Veronesi pensa al tumore, alle cellule maligne che si impossessano del corpo, ad esempio, di un bambino, e lo divorano senza alcuna possibilità di fronteggiarlo. Per quanto mi riguarda, penso che in questo stesso momento in cui sto scrivendo, godendo di una condizione privilegiata, nel mondo si stanno verificando terribili tragedie: la gente muore per fame, povertà, per malattie che altrove sarebbero curabili e controllate, per le guerre legate a sporchi interessi, per fanatismi, speculazioni ciniche… No, non posso credere che un Dio, un Dio buono nel quale credere, possa consentire tutto questo. E la penso come Veronesi.

E MANCUSO MI HA TOCCATO CUORE E RAGIONE

Vito Mancuso

Qualche mese fa, ebbi una forte crisi di coscienza, che investiva anche la mancanza di fede. Un giorno, forse, scriverò quale fosse la ragione profonda: è una questione intima, dolorosa. In questa rubrica accennai alla mia crisi con emozione, ma in termini superficiali. Ricordo che incontrai alcuni umili sacerdoti e alcuni cardinali, definiti principi della Chiesa. Cercai molti incontri, alcuni (i cardinali…) mi ricevettero con garbo, curiosità e attenzione. Un paio mi risposero pomposamente, dicendo spudoratamente che non avevano tempo (!). Sapevo già e constatai dopo che i due sussiegosi impiegavano il loro tempo non certo per aiutare pecorelle smarrite, ma in liete partecipazioni a cocktail, feste, presentazioni di libri inutili, articoli stolidi sui giornali… Altri, molto gentili, mi parlarono con molta umanità e curiosità, ma ahimè non mi illuminarono né il cuore né le meningi.  Del resto la fede è un dono, e quante volte ho scritto che invidio coloro che ne sono sostenuti! Un anno fa forse mi stavo avvicinando… ma mi ponevo il dubbio che fosse a causa della senescenza, per paura o angoscia in vista del traguardo estremo (sdrammatizzo ancora, con l’aiuto sempre di Woody: “Penso a Dio quando l’aereo balla…”). Poi dal desiderio di fede mi staccai per due ragioni, oltre a quelle già note. La prima: Francesco che decise di intrattenersi con quella vecchia volpe di Scalfari, possibile? Per ingenuità o malizia? Comunque fosse, con ironia pensai che il rappresentante di Dio in terra non dovesse utilizzare il suo tempo confrontandosi con Scalfarone e tutto ciò che il pur bravo giornalista rappresenta o crede di rappresentare. La seconda ragione è tragica: l’agonia e  la morte di una mia giovanissima nipote, colpita dal tumore più terribile, inguaribile. Inevitabile la domanda: perché lei, credente, innocente? Perché lei e non io? Stamattina ho letto Vito Mancuso e qualcosa si è smosso, nel recessi della mia anima. Non lo conosco e mi piacerebbe conoscerlo. Con un semplice articolo ha fatto assai più di quanto avevano prodotto i miei incontri con pretini generosi e cardinaloni più o meno attenti alla mia solitudine e al mio sconforto.

cesare@lamescolanza.com

19.11.14